Rinasce Solidarnosc. È laica e al femminile

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Il significato vero della rivolta in Polonia contro l'entrata in vigore della legge più restrittiva sull'aborto d'Europa.

polonia aborto 3Una folla enorme (non soltanto di donne) nel centro di Varsavia. Era dai tempi di Solidarnosc (1980) che nella Capitale non si assisteva a una protesta così imponente.

La sentenza della Corte Costituzionale polacca, che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto, ha spinto in piazza per tre notti consecutive, migliaia di persone che hanno manifestato a Varsavia e in altre città della Polonia in uno sventolio di bandiere con il fulmine rosso simbolo di Strajk Kobiet (letteralmente “Sciopero delle donne”), uno dei più importanti movimenti femministi polacchi, principale organizzatore delle proteste.

La sentenza che ha eliminato anche le ultime eccezioni a una legge già estremamente restrittiva - l’aborto è consentito soltanto in caso di stupro e incesto - ha come obiettivo politico la subordinazione e lo sfruttamento di milioni di donne, il cui destino di «macchine da riproduzione» è stato sancito per legge.
Si tenga a mente che Il governo polacco è guidato dal partito di destra Diritto e Giustizia (PiS), che è molto vicino alle gerarchie cattoliche che hanno un ruolo molto attivo nella politica del paese .
 
Infatti, una legge così coartante non sarebbe stata possibile senza una fede “fai da te”, che segue con zelo e convincimento il cattolicesimo predicato da Comunione e Liberazione o dell’Opus Dei, i cui seguaci - in Polonia come altrove - accettano o rigettano i precetti a seconda delle loro personali inclinazioni e convinzioni, con la pretesa di assoluta verità.
Ma alla fine, se l’insidia arriva “dall’esterno” fanno quadrato anch’essi intorno alla Chiesa cattolica, come i fondamentalisti intorno all’Islam.
Infatti, anche la libertà di scegliere autonomamente sul proprio corpo secondo costoro, va governata e, se necessario, repressa affinché sia funzionale agli imperativi della produzione e della  riproduzione sociale.
La maternità diventa così una coazione sociale restando al contempo una responsabilità completamente individuale, come dimostra la pesantissima pena che sarebbe comminata alle donne che abortiscono, nel caso in cui la legge fosse violata.

Pertanto, il rischio concreto per le donne è un ritorno alla clandestinità, alla mammana che metterebbe seriamente a repentaglio la loro vita e la loro salute, se non sono assistite nei tempi e nei modi previsti in queste circostanze. Naturalmente la minaccia più nefasta incombe sulle donne che meno possono, che non hanno il denaro sufficiente per espatriare dove il loro problema sarebbe risolto. Sono le donne del proletariato come si diceva un tempo. Possibile che nessuno abbia trovato il tempo di pensarci?

È vero che l’Unione europea tramite il suo parlamento ha criticato la legge polacca sull'aborto definendola una violazione delle fondamentali garanzie di libertà. Ma non si è spinta oltre. Sicché la tre giorni di Strajk Kobiet di “Sciopero delle donne” è stata l’unica occasione che ha consentito alle donne polacche di prendere la parola in prima persona e in massa contro la sentenza coercitiva, che legalizza la loro sudditanza e il loro sfruttamento.

Era dai tempi di Solidarnosc (1980) che a Varsavia non si rivedeva una protesta così imponente.
Ma allora c’era papa Wojtila con i dollari americani che scaldava gli animi contro il nemico polacco di sempre, la Russia che in quegli anni era aancora Urss.
Tutt’altra è  la realtà in questo XXI secolo nel quale la frammentazione e l’isolamento - il Coronavirus li rinvigorisce - sono diventati la peculiarità fondante della convivenza sociale in ogni paese dell'Occidente. Da qui, la difficoltà di trasformare la protesta in coralità d’intenti.
L’esatto contrario - per meglio capire -dei moti del 1848 con gli insorti che miravano alla libertà e alla repubblica. Altrettanto distanti da coloro che scesero in piazza negli anni Sessanta e Settanta convinti, che con la loro rivolta sarebbe nato un mondo diverso. Le rivolte del XXI secolo sono discordanti sulle modalità, i propositi; sicché sono sicuramente imponderabili.

Infatti, non è difficile immaginare il malessere delle genti dell’Europa ‘allargata’, quelle che fino all’altro ieri, dietro la cortina di ferro, ambivano al benessere occidentale sperando nella fine del comunismo sovietico e che ora si ritrovano prigioniere della povertà, turbate dal crollo delle usanze tradizionali, furenti per le promesse non mantenute dall’Occidente, spesso disperate, spesso costrette a lasciare il proprio Paese o “peggio ancora” a fare emigrare i propri figli perché si ritrovano in casa la disoccupazione che prima non conoscevano. Le storie di queste genti rimangono circoscritte nei propri confini, non diventano un' articolazione di un movimento transnazionale che non c'è. Basti pensare - per rimanere nell' argomento - alle donne di Polonia e di Ungheria, che  pur condividendo la medesima sorte, non riescono ad interagire.

Beninteso, ogni 8 marzo ci sono grandi mobilitazioni di massa, con centinaia di migliaia di manifestanti nel Nord e nel Sud America, in Polonia e in Sud Corea, in Irlanda e in Italia e in altri paesi ancora. Esse manifestano in nome di un “femminismo al 99 per cento”  che punta il dito sulle  difficoltà delle lavoratrici del mercato formale, delle donne che lavorano nella sfera della riproduzione sociale e della cura della famiglia, delle donne disoccupate, delle donne precarie.

Così manifestando l’8 marzo, da giorno istituzionale dei rametti di mimosa avvolti nel cellophane, dei rituali inchini alle ‘regine di un solo giorno’, è ricondotto al suo autentico significato storico: giornata di lotta, di sciopero, di protesta delle donne contro tutti i meccanismi, i contesti, i poteri che pesano sul loro lavoro domestico ed extra-domestico e sulla vita della grandissima maggioranza di loro. Ma poi tutto finisce lì, non c'è un seguito.

Riuscirà la nuova Solidarnosc al femminile pur avendo contro i preti a uscirne vittoriosa come accadde alla Solidarnosc di quarant'anni fa?  Difficile da dirsi perchè il governo di destra e la Chiesa soprattutto auspicandone la sconfitta fanno leva sulla caratteristica fondante delle rivolte del XXI secolo  che è la loro particolarizzazione, sicuramente incoraggiata e pilotata dal mainstream transnazionale. L'intento è di indicare ogni rivolta come un episodio di relativa importanza, sul quale è meglio non soffermarsi, poichè c'è il rischio di un contagio che potrebbe sconvolgere lo status quo dell'intera Europa.  Pertanto – nel caso polacco - sulla protesta delle donne la conclusione è, "meglio considerarla un problema marginale". Sicchè in Italia - è un esempio - poco se ne parla, o non se ne parla affatto (Tv di Stato). Balza così evidente, che sul versante degli Stati nazionali la coralità funziona, il parlamento europeo lo comprova.

Donne di Solidarnosc, non demordete.

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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.
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