Quando la rabbia la mostra l’obbiettivo
Decine di milioni di persone (non solo afro) sono abbandonate in uno stato di povertà e precarietà, costrette a inseguire quotidianamente la ricerca di qualcosa per sfamarsi o per acquisire un minimo di paccottiglia che dia impressione di integrazione nelle dinamiche sociali dominanti, ad accettare lavori precari, gravosi, salari di fame, senza assistenza sanitaria, senza casa o con case fatiscenti e sovrabitate, in quartieri miseri e cadenti.
Graziano Arici, fotografo impegnato come pochi altri, descrive questo mondo con un sapiente uso del cellulare o con i colori malinconici, delicatamente retrò delle polaroid. Così operando crea quadri sempre nuovi, sempre differenti delle forme di povertà sconfinata, di esclusione e marginalizzazione sociale aberranti e inumane. Siccome, il media mainstream non incoraggia il dibattito su questo accanimento disumanizzante, che la storia odierna sta incarnando, l’opera di Arici diventa un prezioso appello a uomini e donne del nostro tempo, per una presa di coscienza collettiva.
Le immagini diventano così una sorta di invito alla rivoluzione, benché con le azioni e reazioni previste o impreviste, essa poi finisca col trasformarsi in un qualcosa di diverso da quanto precedentemente era stato teorizzato e idealizzato. Infatti, né la rivoluzione religiosa del XVI secolo, né la rivoluzione monarchica del XVII, né la rivoluzione francese del XVIII secolo, né la rivoluzione russa del XX secolo, hanno ospitato i poveri alla loro mensa. Il rigido liberalismo prima e il comunismo dal pugno alzato poi, li hanno tenuti a bada. L'unica rivoluzione che ne ha tenuto conto è stata quella del presepio cristiano, motivo per il quale l'Illuminismo ha dato fuoco alla stalla.
Di tutt’altro aspetto è la miseria Venezia, che di Graziano Arici è la città natale. E’ una miseria culturale, originata da una politica di governo dagli effetti nefasti, la quale da trent’anni a questa parte mira a fare di Venezia (uso un eufemismo) un centro di attrazioni, trascura il residente veneziano , anzi lo ha relegato nelle periferie di Marghera, Mestre, Carpenedo. Con la medesima tempistica si è mosso il saccheggio della città che, fa leva sulla selvaggia lottizzazione immobiliare, la quale non conosce crisi poiché la pressante domanda della seconda casa sulla laguna mantiene i prezzi degli appartamenti alle stelle. Inavvicinabili per le coppie giovani, sicché risulta sempre di più una città di vecchi, di pensionati, che va perdendo l’anima originaria. Le immagini di Arici ne esaltano lo squallore, scansionano un vissuto inquietante. La sua rassegna fotografica è un concentrato di amarezza e di rabbia che, soltanto chi a Venezia è nato riesce ad esprimere con rabbia appunto, come l'amico Graziano.
Graziano Arici, è nato a Venezia nel 1949 e risiede ad Arles dal 2012. Dall'inizio della sua carriera nel 1979, ha sviluppato una vastissima personale produzione che si riassume nelle 400 immagini di ‘Now is the Winter of our Discontent’, "Ecco l'inverno della nostra rabbia", una grande mostra a Venezia promossa dalla Fondazione Querini Stampalia e dal Museo Réattu di Arles in Francia: dal 17 dicembre 2022 al 1° maggio 2023.