Berlino capitale di tutti gli estremi
Berlino è oramai una delle città più visitate al mondo da quando è tornata ad essere la capitale della Germania, ma come Venezia è una città sfigata. Berlino assorbe le tragedie del Novecento e le fa proprie per volontà degli altri, non di chi ci vive. Prima è stata spaccata a metà, con i berlinesi divisi dal Muro, poi è stata messa a “capo” di un’Unione europea senza coesione politica né militare.
C'è a Berlino uno spirito libertario, che attraversa le classi sociali e le epoche storiche .
Non a caso, Berlino è considerata in Europa la città delle sommosse, delle rivolte, dei lunghi periodi di Unruhe, agitazione. E’ la capitale di tutti gli estremi, tagliata in due per quarantaquattro anni, epicentro della Guerra Fredda, cuore delle contraddizioni e dei drammi del secolo. Sullo sfondo la Germania esistita come Stato nazionale unificato soltanto per la prima volta tra il 1871 e il 1945, e la seconda volta dal novembre del 1989, quando il muro crollò.
Berlino è oggi una metropoli molto particolare, ma al tempo stesso perfettamente assimilata dai meccanismi di riproduzione massificata della società ultra-capitalistica neoliberale (di stampo U.S.A.) contemporanea.
È una città che ha fatto dell’accoglienza e della tolleranza i suoi cavalli di battaglia. È una città economicamente in stato di rapido sviluppo con relativa esplosione dei consumi e dei prezzi, ricca e piena di opportunità se paragonata a qualsiasi città italiana, ma povera e del tutto eccentrica se paragonata agli altri centri abitativi importanti della Germania.
Nondimeno è riconosciuta generalmente una progressiva assimilazione al modello urbano di sviluppo londinese con implicato abbattimento delle peculiarità tradizionali dei singoli Stadtviertel dei quartieri cittadini, anche sotto il profilo più strettamente urbanistico-architettonico.
Berlino è singolare, poiché è un concentrato di conflitti, di speranze e di tragedie del Novecento.
Senza dubbio lo stesso potrebbe valere per qualsiasi metropoli moderna, ma Berlino nell’immaginario collettivo rappresenta il cuore del "male", ha più contraddizioni da placare.
Il nazismo resta un orrore ("Come ha potuto suicidarsi la democrazia nel paese di Goethe?"), il totalitarismo stalinista uno scandalo.
Berlino assorbe le tragedie del Novecento e le fa proprie per volontà degli altri, non di chi la vive.
È una città sfigata, prima è stata spaccata a metà, divisa dal Muro, poi è stata messa a “capo” di un’Unione europea senza coesione politica né militare.
Infatti soltanto Berlino capitale - non certamente i berlinesi - può permettersi di celebrare il socialismo/comunismo (la differenza è sempre meno evidente) nella misura in cui esso è fallito: prima perché è stato frantumato nel 1919 dalla repressione che un secolo dopo deploriamo, poi perché finì per autodistruggersi nella DDR sotto il peso delle proprie contraddizioni. Una celebarzione piuttosto originale.
Un esempio? La DDR dopo destalinizzazione aveva ribattezzato in Karl Marx Allee la Stalin Allee. Dopo il crollo del Muro e la riunificazione tedesca, questa imponente arteria, vetrina dell'architettura dello Stato socialista e maestoso percorso delle parate militari ha conservato il nome di Karl-Marx Allee.
La strada più grande di Neukölln si chiama sempre Karl Marx Strasse, e il Karl Marx Forum è una grande piazza vicino al centro storico della Berlino reale e imperiale.
Naturalmente, il padre fondatore del comunismo può essere considerato innocuo 138 anni dopo la sua morte, ma la borghesia berlinese oggi onora anche i rivoluzionari che l'hanno combattuta nel ventesimo secolo e di cui si è sbarazzata massacrandoli.
A Karl Liebknecht è stato dedicato a un viale lungo e ampio, e Rosa Luxemburg ha la sua strada, la sua statua, la sua stazione della metropolitana e il suo ponte pedonale sul Landwehrkanal, dove il suo corpo fu gettato il 15 gennaio 1919.
La DDR aveva dedicato un parco a Ernst Thälmann. È vero che fu a capo del KPD, del Partito Comunista di Germania, ma è anche vero che è considerato un martire, perché fu imprigionato nel 1933 e giustiziato dai nazisti nel 1944. Pertanto è rimasto - dopo la riunificazione - il suo nome ad indicare il parco.
Soltanto a Berlino può esistere una borghesia che elogia la rivolta.
Infatti, vicino alla Leipziger Strasse, c’è un affresco in ceramica realista-socialista del 1952. che mostra dei bambini e degli adulti tanto zelanti nel lavoro quanto felici nel tempo libero. Naturalmente, essi sono felici di costruire lo stato operaio e contadino.
Settant'anni dopo, chi vi ci sofferma è meno scioccato di quanto divertito alla vista dell' affresco di piastrelle che magnifica un'utopia, poichè un anno dopo la sua inaugurazione, scoppiò - 16 giugno 1953 - la rivolta dei muratori di Stalin Allee contro l'aumento degli standard produttivi, che scatenò in tutta la DDR un serie di scioperi e di manifestazioni contro il regime comunista, che furono repressi militarmente con decine di morti.
Settant’anni dopo, sul marciapiede di fronte al murales, i manifesti pubblicitari trasmettono un'immagine di festa e di felicità non molto diversa da quella raffigurata sulla ceramica. Naturalmente senza le fabbriche, poichè la pubblicità commerciale si distingue dalla propaganda di Stato in quanto evita di parlare di lavoro, soprattutto di quello operaio a bassissimo salario.
Sicché chi passa e vede può pensare che l'appagamento promesso da questi manifesti possa essere raggiunto con pochi soldi, ancora di meno se sono i giorni del black Friday.
Dopotutto – pandemia a parte - Berlino è pur sempre la città ideale per chi abbia interesse nel denaro, nei profitti derivanti da un’agevolata attività imprenditoriale, per chi ami soprattutto un certo genere di società dal costume liberalizzato al massimo, in cui si può fare quello che vuoi senza che nessuno dica niente.
Ragion per cui ancora sopravvive l’immagine della Berlino della Love parade, degli artisti, dove chiunque poteva vivere bene, reinventarsi e realizzarsi con molta facilità.
Con qualche modifica però, e non soltanto per colpa del Covid19.
Basta prendere la Metro ogni mattina e vedere l’abbattimento e l’abbruttimento di certi sguardi vuoti e spenti, di certi corpi malnutriti (spesso ipertroficamente cresciuti a base di Fast-Food) e malvestiti (come la moda impone), di persone concentrate su questi onnipresenti touch screen.
Sono i segnali della globalizzazione, o meglio della sclerotizzazione che avanza e che renderebbe Berlino città-stato tedesca non più diversa dalle altre capitali europee.
Tranquilli, finora tutto procede a rilento.
scritto da Berlin89