La visibilità omosessuale ha un prezzo. In Europa è salato

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I ‘diritti civili’ sono diventati un aspetto importante della politica europea, un vero e proprio cavallo di battaglia all'insegna del do ut des. I diritti civili delle minoranze sessuali baratatti in cambio di un neoliberismo che comprime le istanze dei lavoratori in una Unione europea che smantella il welfare ed erode i diritti del lavoro. Questo ed altro sostiene Daniela Danna nel saggio che volentieri pubblichiamo.

L’Unione europea del pareggio di bilancio, dell’austerità nei conti dello Stato che erodono il settore pubblico e il welfare, l’Europa delle norme che avvantaggiano il grande capitale, dell’euro che strangola i Paesi economicamente più deboli a vantaggio di quelli più forti è anche l’avamposto dei diritti per le minoranze sessuali, e secondo gli esperti batte per impegno anche l’Onu. Come è possibile?

pride13Dobbiamo tornare indietro all’onda lunga del Sessantotto, in cui il risveglio politico dei soggetti oppressi, la loro autorganizzazione e presa di parola, toccava anche gay e lesbiche (minoritarie sia nel movimento gay che nel femminismo) (1). Invece di vergognarci per i nostri amori, abbiamo cominciato a praticare la visibilità all’insegna dell’aspirazione rivoluzionaria di quegli anni: nel Gay Liberation Front, nel Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano (il Fuori!), più tardi persino nelle Brigate Saffo.

E abbiamo prodotto cambiamenti nella società e nelle leggi: dal 1989 a oggi ben 24 Paesi europei hanno introdotto forme di riconoscimento per le coppie dello stesso sesso. Questo è avvenuto senza obblighi da parte degli organi comunitari europei, che lasciano il Diritto di famiglia agli Stati, però con il loro contributo politico. Dalla seconda metà degli anni ‘70 sia le istituzioni che oggi chiamiamo Unione europea che il Consiglio d’Europa (2) sono stati oggetto di pressione politica da parte dell’International gay and lesbian association (ILGA), fondata in Gran Bretagna nel 1976, e spinta dall’associazione britannica Stonewall a lottare per l’inserimento dell’orientamento sessuale tra le categorie per cui è proibita la discriminazione nei vari forum europei.

La direzione dell’antidiscriminazione, cioè dell’accettazione dell’esistente con la clausola dell’inclusione delle minoranze sessuali, è stata intrapresa dopo la sconfitta delle istanze rivoluzionarie degli altri movimenti sorti nel Sessantotto, con l’indebolimento anche di altre prospettive di riforma sociale: le femministe, ad esempio, hanno cessato quasi ovunque di chiedere l’abolizione del matrimonio accettando invece la parificazione giuridica dei coniugi (3). E in tempi più recenti la parola ‘riforma’ è stata stravolta dalla sinistra parlamentare, che l’ha impiegata per definire l’arretramento del settore pubblico a favore dei mercati di cui si è fatta portatrice, in Italia in particolare con il governo Renzi (scuola, sanità, mercato del lavoro), ma in generale di pari passo con il processo di integrazione europea avviato dal Trattato di Maastricht nel 1992 – vedi le contemporanee ‘riforme’ delle pensioni e la precarizzazione del lavoro.

La svolta neoliberale ha fatto crescere le disuguaglianze nella distribuzione del prodotto sociale sia tra Paesi che all’interno degli Stati. L’accettazione delle istanze antidiscriminatorie da parte dell’Ue, a partire dalle sinistre nazionali diventate ‘social-liberali’, rappresenta quindi una sorta di valvola di sfogo per la compressione dei diritti dei lavoratori.

Il rischio è però che la ferocia dei mercati, espellendo dalla forza lavoro regolare le donne, sfruttando di più gli immigrati, mettendo in concorrenza feroce i lavoratori tra loro, prevalga sulle politiche antidiscriminatorie imponendo il conformismo sociale anche al popolo Lgbt.

Nella ‘lunga marcia’ Lgbt nelle istituzioni europee, la prima vittoria fu il verdetto Dudgeon contro Regno Unito della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) di Strasburgo, che nel 1981 accettò di esprimersi sul caso proibendo la criminalizzazione di atti sessuali consensuali tra due uomini adulti in nome del diritto alla privacy della Dichiarazione europea dei diritti umani (1950). In quello stesso 1981, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa approvava una raccomandazione che chiedeva la decriminalizzazione degli atti omosessuali, un’uguale età del consenso per i rapporti omo ed eterosessuali, la non discriminazione sul lavoro e nell’affidamento dei figli.

Nel 1984 si mosse – sempre su impulso dei militanti gay a livello sia nazionale che internazionale – anche il Parlamento europeo (allora totalmente privo di poteri) approvando il Rapporto Squarcialupi redatto dall’eurodeputata radicale, per la decriminalizzazione e contro la discriminazione degli omosessuali. L’organizzazione politica di gay, lesbiche e transessuali dava i suoi frutti, per lo meno nella sinistra degli emicicli europei.

Per l’Italia la data più significativa fu dieci anni dopo, quando nel 1994 venne approvato il Rapporto all’europarlamento di Claudia Roth (Grünen), che chiedeva agli Stati di riconoscere le coppie dello stesso sesso dando loro facoltà di adottare. Fu anche l’anno del primo Gay&Lesbian Pride di massa italiano a Roma, con decine di migliaia di partecipanti, galvanizzati dall’appoggio della maggioranza dell’europarlamento di Strasburgo (sempre privo di poteri).

Poco tempo dopo, a vent’anni, con una ventina di attivisti gay e lesbiche di Alziamo la testa! quasi tutti coetanei, ero su un pullman là diretto. Avevamo raccolto l’invito di un eurodeputato comunista, Luigi Vinci, che aveva trovato affinità con la nostra lotta.

La mobilitazione era partita da Verona, dove le destre nel consiglio comunale avevano usato toni più minacciosi del solito: addirittura la castrazione dei gay, come nei campi di concentramento nazisti. Condividevamo il ‘sogno europeo’ della maggior parte degli italiani. Abboccavamo insomma alla propaganda dei politici che preparavano l’adesione solo parlamentare al Trattato di Maastricht, sperando che un cambio istituzionale ci avrebbe salvato dalla corruzione della vita politica italiana intraprendendo la strada del ‘buon capitalismo’ del nord Europa temperato dal welfare, che offriva la possibilità di sopravvivere con dignità senza dover cercare il compratore del proprio lavoro ai prezzi più stracciati, e garantiva buona sanità, istruzione pubblica e molto altro di gratuito.

 

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In Scandinavia invece alcuni lungimiranti si erano accorti del pericolo che la costruzione sovranazionale rappresentava proprio per il welfare. In Danimarca il Movimento popolare contro l’Ue denunciava l’impotenza dell’europarlamento, unica istituzione di democrazia diretta, e insieme l’impossibilità di costruire una democrazia in un contesto in cui manca una lingua comune per discutere la cosa pubblica; l’imbrigliamento dell’autonomia nazionale e la mancanza di contrappesi all’ampliamento dei poteri della Commissione previsti dal Trattato di Maastricht; la corruzione dei partecipanti alle istituzioni europee lucrosamente pagati per fingere di governare mentre potenti lobby tendevano le loro trame neoliberali (5).

I danesi respinsero Maastricht con un referendum nel 1992, ma già l’anno dopo capitolarono alla minacciosa propaganda europeista: o Ue o rovina! Creato il mercato unico europeo per far crescere le multinazionali locali, la nuova creatura Ue presto accolse tra i suoi valori l’antisessismo e l’antirazzismo (6), così come le istanze del ‘popolo Lgbt’: gay, lesbiche, bisessuali (poco presenti politicamente in verità) e trans, cui si sono aggiunte a mano a mano altre sigle (intersessuati, asessuati, queer). L’ideologia liberale infatti ritiene che tutti possano dare il loro contributo allo sviluppo dei mercati e al progresso, e a nessuno dovrebbe essere impedito di farlo per le caratteristiche innate che semplicemente riflettono la variabilità umana.

 

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I ‘diritti civili’ sono diventati un aspetto importante della politica europea, un cavallo di battaglia della sinistra e non solo. Le norme antidiscriminatorie per orientamento sessuale compaiono nell’articolo 13 del Trattato di Amsterdam (1997) e nell’articolo 49 del Trattato di Lisbona (2009), nonché nella Direttiva sull’antidiscriminazione sul posto di lavoro (7). Anche la Carta dei diritti fondamentali approvata a Nizza nel 2000 ha un articolo, il 21, intitolato “Non discriminazione”, che la afferma per sesso, razza, colore della pelle od origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età od orientamento sessuale.

ILGA nel frattempo è stata riconosciuta come ‘partner ufficiale’ della Ue. Il connubio si è spinto fino al finanziamento dal 2001 di ILGA-Europe, che oggi rappresenta più di 500 associazioni (8), con il programma PROGRESS, proprio sulla base delle norme antidiscriminatorie del Trattato di Amsterdam. L’Ue volentieri finanzia associazioni-ombrello per avere a che fare con un unico interlocutore a livello sovranazionale.

Sono stati passi importantissimi: gli Stati moderni hanno sempre considerato con ostilità l’omosessualità, temendo – come del resto le religioni – che la sua accettazione avrebbe diminuito il potenziale riproduttivo delle proprie popolazioni (9).

La visibilità omosessuale è una conquista preziosa, che non va data per scontata nemmeno nei Paesi più aperti: persino in Olanda il 38% del campione intervistato per l’Eurobarometro sulla discriminazione nella Ue (n. 437 del 2015) è a disagio nel vedere due uomini che si baciano in pubblico, il 34% se sono due donne, solo il 16% se si tratta di una donna e un uomo.

La media europea è comunque che il 71% si dichiara d’accordo sul fatto che gay, lesbiche e bisessuali dovrebbero avere gli stessi diritti degli eterosessuali, con il 61% a favore del matrimonio egualitario (in Italia le percentuali sono del 72 e del 55%). Sono più favorevoli le donne, i giovani e le persone più istruite, e il trend è in crescita. Inutile dire che nei paesi dell’Est vi è soltanto una minoranza di favorevoli al matrimonio egualitario, ma anche qui i trend sono positivi: un effetto Ue?

Infatti nel processo di allargamento a est della Ue ai Paesi dell’ex blocco sovietico è stato richiesto di introdurre clausole antidiscriminatorie che riconoscano le minoranze sessuali (10) (Criteri di Copenaghen): un vero scatto in avanti per società che non hanno vissuto la rivoluzione dei costumi del Sessantotto. Dove la Ue non è ben vista, come in Serbia, gli attacchi alle associazioni Lgbt sono stati fatti anche a causa dell’associazione stretta con ‘i valori europei’, mentre in Polonia e negli altri Paesi dove l’aspirazione a ‘far parte dell’Europa’ è condivisa, la visibilità e i diritti Lgbt sono avanzati più facilmente.

A espandere il riconoscimento delle coppie e delle famiglie Lgbt è stata anche la logica della libertà di circolazione dei lavoratori, che richiede il riconoscimento reciproco degli atti amministrativi tra Paesi nell’Ue. In questo modo i ricorsi in giudizio da parte di coppie unite civilmente o sposate all’estero sono andati avanti anche in Italia. Il giurista Robert Wintemute nota che la Corte dell’Unione europea ha solo seguito le orme di quella di Strasburgo del Consiglio d’Europa.

 

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La Corte EDU – che può solo condannare a risarcimenti monetari gli Stati – ha infatti emesso una quantità di verdetti favorevoli a ricorrenti gay e lesbiche in ambiti come la protezione della vita privata, l’antidiscriminazione nell’affido dei figli e nell’adozione ai singoli, l’adozione come secondo genitore, l’edilizia pubblica, i pagamenti della sicurezza sociale, la libertà di espressione e associazione, la carriera militare, il diritto di asilo – che nella Ue venne poi incontrovertibilmente garantito con un verdetto del 2013 della Corte della Ue. È stata invece la Corte EDU a condannare l’Italia nel 2015 a risarcire Oliari e altri per la mancanza di un istituto giuridico per le coppie gay e lesbiche. Anche la Corte di Cassazione nel 2012 si era rifatta al caso Schalk e Kopf contro l’Austria, in cui la Corte EDU riconobbe anche alle coppie dello stesso sesso il diritto a sposarsi e a fondare una famiglia. Stefano Rodotà allora scrisse che: “La recente sentenza della Corte di Cassazione sui matrimoni gay è un dono dell’Europa. Così come lo è l’avvio dell’estensione alla Chiesa dell’obbligo di pagare l’imposta sugli immobili”.

Il prezzo pagato per il ‘dono’ è l’acriticità del movimento Lgbt verso la Ue, dato che riconoscere diritti alle minoranze sessuali è parte consolidata del significato di essere ‘europei’ oggi.

Rodotà notava altri aspetti della giurisprudenza europea che non sembrano avere lo stesso successo: “Si afferma che il lavoratore ha il diritto ‘alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato’, ‘a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose’, alla protezione ‘in caso di perdita del posto di lavoro’. Più in generale, e con parole assai significative, si sottolinea la necessità di ‘garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti’” (11).

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L’accettazione delle istanze antidiscriminatorie da parte dell’Ue rappresenta una sorta di valvola di sfogo per la compressione dei diritti dei lavoratori.

Nulla di nuovo. Nel capitalismo si sono sempre scelti tra i diritti umani quelli che non disturbano la classe dominante: nessun diritto al cibo o alla salute viene preso sul serio, perché questi sono ambiti che vanno lasciati ai mercati, tantomeno il diritto all’habeas corpus è garantito davanti alla ragion di Stato, come si è visto a Genova nel 2001. Anche le sinistre parlamentari hanno scelto di portare avanti solo le richieste di ‘diritti civili’ nei quali non rientra nulla – se non l’antidiscriminazione – che abbia a che fare con i diritti dei lavoratori.

Sono (anche) loro a trasformare oggi in workfare il welfare del ‘compromesso tra capitale e lavoro’ (12). I diritti che riguardano i rapporti intimi delle persone possono invece essere tollerati dal capitalismo. Non solo: fanno risparmiare lo stato sociale, perché la responsabilità di mantenere un disoccupato o malato sposato non rischia di ricadere sul pubblico ma è giuridicamente attribuita al coniuge. E il matrimonio sicuramente incoraggia la procreazione, antico pallino di Stati e Chiese.

 

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L’aspetto paradossale di sostegno alle strutture sociali tradizionali del matrimonio egualitario è riconosciuto dalle destre dei Paesi più avanzati: David Cameron lo ha fatto approvare proprio per i suoi valori conservatori (13). Secondo Peter Drucker, marxista gay, “il movimento Lgbt olandese tradizionalmente rivendicava una ‘pluralità di relazioni’ piuttosto che il matrimonio per persone dello stesso sesso” diventato legge per la prima volta al mondo in Olanda nel 2001. Anche il secondo Paese che lo introdusse, il Belgio nel 2003, lo fece “senza alcuna sostanziale mobilitazione Lgbt” (14).

L’attivista lesbica statunitense Urvashi Vaid ritiene che l’assimilazione sia un’illusione. La natura solo virtuale dell’uguaglianza Lgbt (15) è stata rivelata dal dibattito statunitense sui gay nell’esercito: l’omosessualità maschile è un problema non per un’infondata e controproducente ‘discriminazione’ ma perché rovina lo spirito di corpo, come d’altra parte le unioni tra donne minacciano il patriarcato fornendo un’alternativa al ruolo subordinato femminile di moglie e madre. L’omosessualità viola davvero le fondamenta morali della nazione. Il cameratismo maschile deve esprimersi in modo asessuato nell’esercito ma anche tra gli altri gruppi dominanti maschili, in cui il possesso delle donne è parte del gioco competitivo (16) (anche i gruppi di maschi socialmente inferiori si sentono comunque superiori alle femmine).

Siamo profondamente antitetici all’organizzazione sociale patriarcale su cui si innesta il capitalismo, entrambi richiedenti la fornitura di lavoro gratuito soprattutto femminile per garantire il profitto di pochi. Perché invece, come suggerisce Urvashi Vaid, non unire piuttosto la forza del movimento Lgbt con quella degli altri perdenti del capitalismo neoliberale per ottenere cambiamenti che non siano solo cosmetici come ‘l’inclusività’?

Le coppie e famiglie Lgbt vengono riconosciute da sempre più Stati, ma diminuisce la domanda di lavoro poiché si lascia al ‘mercato’, cioè ai possessori di mezzi di produzione, l’organizzazione dell’economia (la piena occupazione non sarà mai nel loro interesse), viene meno la sanità pubblica, viene progressivamente privatizzata anche l’istruzione, si rinuncia a qualunque pianificazione economica (lo Stato che gestisce sanità e istruzione fa anche questo).

Certo, manca una politica veramente di sinistra, perché la differenza tra destra e sinistra non è ‘tutto il potere ai padroni con il Family day’ o ‘tutto il potere ai padroni con il Gay Pride’. Molti nel movimento sono intossicati da questa semplificazione delle categorie politiche – il progressismo di marca Ue contro il conservatorismo religioso – e addirittura bollano Arcilesbica (nonché la sottoscritta) come ‘estrema destra’. Ma l’opposizione tra destra e sinistra non è una battaglia all’interno del pensiero liberale (come nei Parlamenti italiani di più di un secolo fa), bensì lo schieramento o con i padroni o con i lavoratori.
Se la sinistra batterà il colpo del suo risveglio, romperà il dilemma Lgbt: avanzare come minoranze sessuali e arretrare come lavoratori, cioè stare con il neoliberismo per non soccombere alla Chiesa.

Daniela Danna

Fonte: Paginauno

1) Vedi gli articoli qui raccolti:http://www.danieladanna.it/wordpress/?p=623
2) Ha 47 Stati membri ma è senza poteri. Sono gli Stati a scegliere se accettare le sentenze della sua Corte EDU, che riguardano il rispetto della Convenzione europea sui diritti umani
3) Tranne Martha Fineman: The neutered mother, the sexual family and other twentieth century tragedies, New York, Routledge, 1995
4) European Parliament. 1994. Resolution on Equal Rights for Gays and Lesbians in the EC [Roth], A3 – 0028/94, OJ C 61/40, 29.2.1994
5) Tentai invano di proporre a esponenti di sinistra traduzioni e contatti
6) Ricordiamo come nel 2004 la candidatura di Buttiglione a Commissario per la giustizia, la libertà e la sicurezza venne respinta per le sue dichiarazioni: “Rocco Buttiglione sta spiegando, partendo «dalla radice latina», che «matrimonio significa protezione della madre; una protezione da parte dell’uomo che consente alle donne di generare figli» […] «Come cattolico considero l’omosessualità un peccato, ma non un crimine. La mia è una posizione morale che non incide sui diritti che devono essere riconosciuti a tutti» ”, Giuseppe Sarcina, Buttiglione, attacchi sui gay e risposte in 5 lingue, Corriere della Sera, 11 ottobre 2004
7) Direttiva 2000/78/CEE per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Con retorica liberale si dichiara: "La districriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato CE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone”
8) Altri finanziamenti all’Ilga provengono da Sigrid Rausing Trust, Open Society Institute, Freedom House, il Dipartimento di Stato statunitense e il Ministero olandese dell’Educazione, Cultura e Scienza. Vi è anche una ‘corporate sponsorship’ delle multinazionali illuminate, che da qualche anno partecipano ai Pride con loro spezzoni (viste anche a Milano)
9) Ilvia Federici e Leopoldina Fortunati, Il grande Calibano. Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale,Milano, F. Angeli, 1984; Giovanni Dall’Orto, Tutta un’altra storia. L’omosessualità dall’antichità al secondo dopoguerra, Milano, Il saggiatore, 2015
10) Phillip M. Ayoub, When states come out: Europe’s sexual minorities and the politics of visibility, Cambridge, Cambridge University Press, 2016
11) Stefano Rodotà, La nuova stagione dei diritti, MicroMega, 14 maggio 2012
12) Vedi la critica alle riforme introdotte in Germania dal Piano Harz in Money or life: what makes us really rich, Veronika Bennholdt-Thomsen, agosto 2011; Collettivo Clash City Workers, La Germania incantata, Paginauno n. 53/2017
13) Jasbir Puar nel 2007 ha chiamato “omonazionalismo” l’inclusione dei soggetti Lgbt nella nazione con l’obiettivo di escludere immigrati e rifugiati, in particolare islamici
14) Peter Drucker, Same-sex marriage and the neoliberal European agenda, Paper presented at Socialism and Sexuality Seminar, Paris, October 2006 (www.iisg.nl/womhist/druckerrevised. doc)
15) Urvashi Vaid, Virtual Equality. the mainstreaming of gay and lesbian liberation, New York, Anchor Books, 1996
16) Per un’accurata – e agghiacciante – descrizione degli affari condotti nei bar-bordelli dell’attuale Vietnam, vedi Kimberly Kay Hoang, Dealing in desire: Asian ascendency, Western decline, and the hidden currencies of global sex work, University of California Press, 2015

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