E' una guida turistica di Berlino? No, è una ninfa d'acqua marina
Le undine, dal latino unda, nella tradizione mitologica europea sono ninfe acquatiche che assumono forma umana quando si innamorano di un mortale, ma sono destinate a morire nel caso questi dovesse esserle infedele. Su questo soggetto si concentra Christian Petzold, che con Undine torna dietro la macchina da presa per un riadattamento in chiave moderna del mito, presentato in concorso al 70esimo Festival del Cinema di Berlino.
Undine (Paula Beer) lavora come guida turistica a Berlino. È innamorata di Johannes ma già dalla primissima inquadratura siamo catapultati nel momento in cui la loro storia sta finendo. Nel mezzo del processo, un incontro fortuito con Christoph (Franz Rogowski) fa nascere una relazione che le restituirà – brevemente – la felicità.
Regista e attori lavorano alla grande sui primissimi piani e sul potere delle microespressioni, la tradizione viene richiamata con classe attraverso dettagli ben studiati – Undine, tradita da Johannes, crede di “non poter vivere senza di lui”, come vorrebbe il mito, ma sarà proprio l’acqua, nella forma del sommozzatore Christoph, a “restituirle il battito”.
Rimangono sospesi alcuni elementi dal piglio soprannaturale – su tutti il grande pescegatto Gunther, grande protagonista di una delle prime scene, poi bellamente dimenticato – che, in mancanza di qualsiasi appiglio, si limitano a decorare una storia ben eseguita ma fin troppo lineare.
Operazione filologica interessante nel pensiero, ma che rimane un po’ troppo compiaciuta nella sua ambiguità.
Più appropriata agli addetti ai lavori che al grande pubblico.
Sara Bresciani