Prima che scompaia la democrazia e inizi la guerra

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Che il lavoro salariato sia sempre più precario e più flessibile è dato per scontato. Sicché quando i politici di sinistra aprono le braccia ai profughi bollando come "gentaglia senza pietà" chi non condivide la loro scelta, l’impressione è che abbiano completamente perso il senso della realtà. Perché in gioco non c’è l’etica, ma la democrazia con un destino a fosche tinte che accomuna tutti, bianchi e neri, migranti e residenti.

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Da quando è caduto il Muro di Berlino e l'Unione sovietica è implosa, le guerre non si fanno soltanto con i carri armati. Gli accordi di libero scambio, le sanzioni, l'export di capitali, controllati dalle grandi multinazionali che gestiscono gli interessi dei sempre più ricchi, hanno generato stravolgimenti che regolano la sopravvivenza di decine di migliaia di persone soggiogate dalle dure regole dei mercati che approfondiscono i divari sociali, come mai era accaduto prima.  

La minaccia che incombe sui settori più deboli della società, è di ritrovarsi di colpo impoveriti costretti a lunghe attese davanti alle mense di carità dove la coda ogni giorno si allunga. Succede che la paura di perdere il proprio status spinga le persone verso destra e non a sinistra come accadeva nel secolo scorso. All'origine di questo capovolgimento epocale c'è la questione dei migranti che vede schierata da una parte la sinistra secondo la quale essi sono “esseri umani in cerca di dignità”, dall'altra parte la destra che li definisce “invasori parassiti che rubano il nostro benessere”. Conclusione, i proclami sui confini chiusi, sulla moltiplicazione dei lager di internamento per i migranti, sulla riduzione degli aiuti finanziari per i rifugiati, sul blocco dei porti ai profughi, raccolgono consensi sempre più risonanti sia dal ceto medio che da quelli più bassi che si sentono minacciati. Su questo malessere diffuso in tutta Europa personaggi come Matteo Salvini ci marciano, come usa dire, sicché nessuno è in grado di ipotizzare fino a quando costoro riusciranno a mantenere il dominio della scena pubblica.  

Accade che vicende come quella della Sea Watch con lo scontro tra Matteo Salvini e la comandante Carola Rackete, amplificato dal mainstream dell'Europa intera distolgano l'attenzione dal pericolo vero che incombe.  Invece di accanirsi intorno alla distinzione tra i profughi politici ai quali spetterebbe l’accoglienza, e i migranti economici che dovrebbero essere privati di questo diritto, meglio sarebbe soffermarsi sulle “manovre” delle grandi aziende multinazionali, quelle - per intenderci – che stabiliscono i prezzi, controllano i mercati, privatizzano gli ospedali, i settori dell' alimentazione, le fonti primarie di energia. E' una manovra politica-economica la loro, che mira a stravolgere lo stato sociale, poiché una comunità intorno alla quale lievitano a dismisura i costi, la tecnologia taglia i posti di lavoro e i salari sprofondano è una comunità svilita disponibile ad ogni compromesso. 

Pertanto stare lì a discutere in ogni occasione se è peggio morire di fame o sotto i bombardamenti è pura follia. Poiché non è altro che una lotta mediatico-politica fondata su due visioni semplicistiche, quanto falsate secondo le quali il rifugiato ha diritto all’accoglienza e il migrante no, è priva di senso. Le persone fuggono - è risaputo - quando si dissolve ogni spiraglio di sopravvivenza nel proprio paese di origine, quali siano le cause diventa un problema secondario.  

Sicuramente giova ai sempre più ricchi lo scontro tra i sostenitori del “restiamo umani” e “abbattiamo le frontiere” e gli sbraitanti che vogliono “alzare i muri e bloccare i porti”. Poiché se è pur vero che su questo snervante confronto amplificato dai media speculano i locatori di immobili, i gestori di ostelli per migranti, gli organizzatori dei corsi di integrazione, resta pur sempre pochissima cosa, a confronto degli interessi delle grandi aziende multinazionali per le quali l'emigrante è l’esca insperata per dimezzare il costo del lavoro. Ragion per cui quell' “apriamo i porti “ gridato a Lampedusa senza tener conto di questa realtà, diventa una invocazione inquietante poiché nasconde dietro di sé una realpolitik che ne è l'esatto contrario.  

Beninteso, la vita umana va sempre tutelata, pertanto il coraggio della capitana Carola o di chiunque altro porti in salvo le persone abbandonate in mare, va esaltato e difeso. Ma l'accoglienza a “braccia aperte” senza un programma e un impegno preciso su come integrare i profughi nella nazione che li accoglie, va a tutto vantaggio degli interessi dei più ricchi con gli effetti che abbiamo descritto. Ignorare questa realtà è criminale, perdurare in questo assurdo confronto sulla pelle degli sventurati per ramazzare consensi e con essi i voti è ancora peggio. Naturalmente a confondere le idee sviando l'attenzione dal problema vero, molto vi influiscono le sparate sensazionalistiche, volutamente esagerate e pertanto irrealizzabili, fedelmente riportate su qualsiasi mezzo di informazione e di comunicazione. E’ uno zelo che pecca di disonestà.  

Non ci vuole molto a capire che il punto centrale per poter voltare pagina sono le modalità di gestione dei movimenti migratori. L’Unione europea ha raggiunto una popolazione di 509,4 milioni nel 2015, i suoi paesi costituenti hanno aggiunto circa un centinaio di milioni di persone immigrati dall’inizio degli anni Sessanta. Eurostat, l’agenzia di statistica dell’Ue, prevede che la sua popolazione raggiungerà probabilmente i 518 milioni entro il 2080. L’Europa dovrà importare persone. Senza migrazione la popolazione europea nel 2080 scenderebbe a 407 milioni, secondo le previsioni di Eurostat riportate dal Foglio. Un esempio? Per mantenere costante la popolazione attiva della Germania, ai tedeschi serviranno 24,3 milioni di immigrati.  

Sicché chi su questi temi così complessi, articolati, che toccano la vita di migliaia di persone, si affida alla divina provvidenza  è uno stupido o è in malafede. Poiché ci vuole poco a capire che non si risolvono con le provocazioni e gli slogan, bensì con soluzioni realistiche, progetti concreti di gestione dal momento che la presenza dei migranti - come detto - è diventata indispensabile. L’alternativa è di trovarsi in balia degli interessi delle grandi multinazionali, dei più ricchi a quali non importa nulla se il lavoratore sia bianco o nero, migrante o residente, se è a tempo determinato o indeterminato oppure con un contratto interinale. Loro provocano la lotta tra i poveri, e accumulano. 

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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.
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