Immaginare un mondo senza lavori del cazzo

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Bullshit Jobs: A Theory [Lavori del cazzo: una Teoria] è un saggio appena uscito di David Graeber, professore di antropologia alla London School of Economics, che in questa intervista spiega che...

 problemadi David Graeber e Chris Brooks

Il tuo lavoro è privo di scopo? Senti che la tua posizione potrebbe essere eliminata e tutto continuerebbe come se nulla fosse? Forse, pensi, la società sarebbe addirittura un po’ migliore se il tuo lavoro non fosse mai esistito?

Se la tua risposta a queste domande è “sì”, consolati. Non sei solo. Fino a metà del lavoro in cui la popolazione lavoratrice è impegnata ogni giorno potrebbe essere considerata priva di scopo, dice David Graeber, professore di antropologia alla London School of Economics e autore di Bullshit Jobs: A Theory [Lavori del cazzo: una teoria].

Secondo Graeber le stesse politiche del libero mercato che hanno reso la vita e il lavoro più difficili per così tanti lavoratori negli ultimi pochi decenni, hanno contemporaneamente prodotto più manager, televenditori, burocrati delle assicurazioni, avvocati e lobbisti ben pagati che non fanno nulla di utile tutto il giorno. Il giornalista sindacale Chris Brooks ha intervistato David Graeber per apprendere come sono venuti alla luce tanti lavori privi di scopo e che cosa significa per gli attivisti sindacali.

Nel tuo libro fai una distinzione tra lavori del cazzo e lavori di merda. Puoi parlarci un po’ della distinzione tra i due?

Beh, è piuttosto semplice: i lavori di merda sono solo cattivi lavori. Lavori che non avresti mai voluto avere. Massacranti, sottopagati, non apprezzati, persone che sono trattate senza dignità e senza rispetto. La questione è che per la maggior parte i lavori di merda non sono del cazzo, nel senso di inutili, privi di senso, perché in realtà solitamente comportano fare qualcosa che autenticamente va fatto: portare in giro le persone, costruire cose, prendersi cura di persone, fare le pulizie per loro…

I lavori del cazzo sono più spesso pagati bene, comportante bei pacchetti di bonus, sei trattato come se fossi importante e come se facessi effettivamente qualcosa che va fatto; ma in realtà non lo stai facendo. Così, da quel punto di vista, sono solitamente degli opposti.

Quanti di questi lavori del cazzo ritieni potrebbero essere eliminati e qualche genere di impatto avrebbe ciò sulla società?

Beh, praticamente tutti; in un certo senso il punto è tutto lì. I lavori del cazzo sono quelli nei quali la persona che li esegue ritiene segretamente che se il lavoro (o persino a volte l’intera industria) dovesse scomparire, non farebbe alcuna differenza, o forse come nel caso, diciamo, dei televenditori, lobbisti o molti studi legali delle imprese, il mondo sarebbe un posto migliore.

E non è tutto: pensa a tutte le persone che fanno un lavoro reale a supporti dei lavori del cazzo, pulendo gli stabili dei relativi uffici, occupandosi della sicurezza e della disinfestazione per loro, prendendosi cura dei danni psicologi e sociali causati a esseri umani da persone che lavorano troppo duramente sul nulla. Sono sicuro che potremmo facilmente eliminare metà del lavoro che stiamo svolgendo e che ciò avrebbe effetti positivi su tutto, dall’arte e cultura al cambiamento climatico.

Sono rimasto affascinato dal tuo collegamento dell’ascesa dei lavori del cazzo con la scissione tra produttività e paga dei lavoratori. Puoi spiegare questo processo e come si è sviluppato negli ultimissimi decenni?

A essere onesto, non sono sicuro di quanto nuova sia realmente la cosa. Il punto non era tanto tra produttività nel senso economico quanto come beneficio sociale. Se qualcuno fa le pulizie, o assiste i malati, o cucina, o guida un autobus si sa esattamente che cosa sta facendo e perché è importante. Ciò non è così tanto chiaro nel caso di gestori di marchio o di consulenti finanziari. C’è sempre stata una specie di relazione inversa tra l’utilità di una determinata forma di lavoro e il compenso. Ci sono alcune eccezioni ben note, come i medici o i piloti, ma in generale è vero.

Quello che è avvenuto è meno un cambiamento un cambiamento del modello, quanto piuttosto una vasta inflazione del numero di lavori inutili e relativamente ben remunerati. Noi ci riferiamo ingannevolmente alla crescita dell’economia dei servizi qui, ma la maggior parte dei reali lavori nei servizi sono utili e poco pagati – parlo di cameriere, autisti di uber, barbieri e simili – e il loro numero complessivo non cambiato per nulla. Quello che è realmente aumentato è il numero di lavori impiegatizi, amministrativi e dirigenziali che pare essere triplicato come percentuale complessiva dei lavoratori nell’ultimo secolo o giù di lì. E’ lì che nascono i lavori privi di scopo.

Kim Moody sostiene che l’aumento della produttività e le basse paghe hanno più a che fare con l’intensificazione delle tecniche manageriali, come la produzione snella e just in time e la tecnologia di sorveglianza che controlla i lavoratori, piuttosto che con l’automazione. Se è vero, allora pare che siamo bloccato in un circolo vizioso di imprese che creano più lavori del cazzo per gestire e controllare i lavoratori, in tal modo rendendo i loro lavori più merdosi. Che cosa ne pensi?

Beh, è decisamente vero se stiamo parlando di Amazon o UPS o Wallmart. Immagino si possa sostenere che i lavori di supervisione che causano accelerazioni non siano realmente cazzate, perché fanno qualcosa, anche se qualcosa di non molto bello. Nella manifattura i robot hanno realmente causato grandi guadagni di produttività nella maggior parte dei settori, significando che i lavoratori sono stati ridotti, anche se i pochi che rimangono sono pagati meglio dei lavoratori nella maggior parte dei settori in generale.

Ciò nonostante in tutte quelle aree c’è la stessa tendenza ad aggiungere livelli inutili di dirigenti tra il padrone, o gli investitori, e i reali lavoratori, e in larga misura la loro “supervisione” non accelera nulla, ma in realtà rallenta. Questo diventa tanto più vero, quanto più ci si sposta nel settore dell’assistenza: istruzione, sanità, servizi sociale di un genere o dell’altro. Là la creazione di lavori amministrativi privi di significato e la concomitante cazzificazione del lavoro reale – costringere infermiere, medici, insegnanti, professore a compilare infiniti moduli tutto il giorno – (dico ‘concomitante’ perché un mucchio di questo, anche se giustificato dalla digitalizzazione esiste in realtà sono per dare qualcosa da fare ad amministratori inutile) ha l’effetto di ridurre massicciamente la produttività.

Questo è ciò che le statistiche dimostrano concretamente: produttività nell’industria alle stelle e con essa i profitti, ma produttività in, diciamo, sanità e istruzione in declino, perciò i prezzi salgono e i profitti sono mantenuti in larga misura spremendo i salari. Il che a sua volta spiega perché ci sono insegnanti, infermiere, persino medici e professori in sciopero in tante parti del mondo.

Un altro dei tuoi argomenti è che la struttura dell’impresa moderna assomiglia al feudalesimo più da vicino che all’ideale dell’ipotetico capitalismo del mercato. Che cosa intendi con questo?

Beh, quand’ero al college mi insegnavano che il capitalismo significa che ci sono capitalisti, che possiedono le risorse produttive come, diciamo, fabbriche, e assumono persone per fare roba che poi vendono. Così non possono pagare i loro lavoratori tanto da non realizzare un profitto, ma devono pagarli almeno abbastanza perché possano permettersi di comprare la roba che la fabbrica produce. Il feudalesimo, per contro, è quando semplicemente ti prendi i tuoi profitti direttamente, imponendo rendite, canoni e diritti, trasformando le persone in schiavi del debito o spremendole in altro modo.

Beh, oggigiorno la grande maggioranza dei profitti d’impresa non proviene dal produrre o vendere cose, ma dalla ‘finanza’, che è un eufemismo per l’indebitamento delle persone: imporre rendite e canoni e interessi e quant’altro. E’ feudalesimo nella definizione classica, ‘estrazione juropolitica’ come a volte la chiamano.

Questo significa anche che il ruolo del governo è molto diverso: nel capitalismo classico si limita a difendere la tua proprietà e forse controlla la forza lavoro in modo che non faccia troppo la difficile, ma nel capitalismo finanziario estrai i tuoi profitti attraverso il sistema legale e dunque le leggi e i regolamenti sono assolutamente cruciali; fondamentalmente hai bisogno che il governo ti sostenga mentre spremi le persone per i loro debiti.

E questo contribuisce anche a spiegare perché gli entusiasti del mercato sbagliano nelle loro affermazioni che è impossibile o improbabile che il capitalismo produca lavori del cazzo.

Sì, esattamente. In modo piuttosto divertente sia gli ultraliberali sia i marxisti tendono ad attaccarmi su queste basi, e il motivo è che entrambi operano fondamentalmente con un’idea del capitalismo come esisteva forse negli anni ’60 del 1800: un mucchio di imprese in competizione nel produrre e vendere roba. Certo, è ancora vero quando si parla di, diciamo, ristoranti gestiti dal proprietario e io sarei d’accordo che tali ristoranti tendono a non assumere persone di cui non hanno realmente bisogno.

Ma se si parla delle grandi imprese che dominano l’economia ai giorni nostri, esse operano con una logica totalmente diversa. Se i profitti si estraggono attraverso canoni, rendite e creando e imponendo debiti, se lo stato è intimamente coinvolto nell’estrazione del surplus, beh, la differenza tra la sfera economica e quella politica tende a dissolversi. Comprare lealtà politica per i tuoi piani di estrazione è in sé un bene economico.

La creazione di lavori del cazzo ha anche radici politiche. Nel tuo libro ritorni a una citazione particolarmente straordinaria dell’ex presidente Barack Obama. Puoi parlarci di quella citazione e di che cosa implica riguardo al sostegno politico ai lavori del cazzo?

Quando ho suggerito che uno dei motivi per i quali i lavori del cazzo persistono è che sono politicamente convenienti un mucchio di potenti, ovviamente … un mucchio di persone mi ha accusato di essere un teorico cospirazionista paranoico, anche se quello stavo realmente scrivendo, pensavo, era più una teoria anti-cospirazionista: com’è che quei potenti non si mettono insieme a cercare di fare qualcosa riguardo alla situazione?

La citazione di Obama è arrivata come una pistola fumante a tale riguardo; fondamentalmente ha detto: “Beh, tutti dicono che l’assicurazione unica sarebbe molto più efficiente, certo, forse lo sarebbe, ma pensateci, abbiamo milioni di persone che fanno questo lavoro in tutte queste società di assistenza sanitaria in competizione tra loro a causa di tutta quella ridondanza e inefficienza. Che cosa faremo di queste persone?” Dunque ha ammesso che il libero mercato era meno efficiente almeno nella sanità ed è esattamente per questo che lo preferiva: manteneva lavori del cazzo.

Ora, è interessante che non si sentono mai i politici parlare in quel modo del lavoro delle tute blu; c’è sempre il mercato per eliminarne il numero maggiore possibile o per tagliare i loro salari e se stanno male, beh, non c’è nulla che si possa davvero fare. Ad esempio, Obama non è sembrato avere lontanamente tale interesse per i lavoratori dell’automobile finiti licenziati o che hanno dovuto accettare grandi sacrifici dopo il salvataggio dell’industria. Alcuni lavori contano più di altri.

Nel caso di Obama il perché è parecchio chiaro; come ha recentemente notato Tom Frank, il Partito Democratico a partire dagli anni ’80 ha preso la decisione strategica di abbandonare fondamentalmente la classe lavoratrice come proprio elettorato chiave e di accogliere invece le classi professionali dirigenziali. E’ quella ora la sua base. Ma naturalmente quella è esattamente l’area nella quale sono concentrati i lavori del cazzo.

Nel tuo libro sottolinei che non sono solo i Democratici a dedicarsi istituzionalmente ai lavori del cazzo, ma anche i sindacati. Puoi spiegare come i sindacati si dedicano al mantenimento e alla proliferazione dei lavori del cazzo e che cosa significa ciò per gli attivisti sindacali?

Beh, erano soliti parlare di eccedenza di manodopera, insistere sull’assunzione di lavoratori non necessari e poi naturalmente ogni burocrazia tende ad accumulare un certo numero di posizioni del cazzo. Ma ciò di cui io parlavo principalmente era semplicemente la costante richiesta di “più posti di lavoro” come soluzione a tutti i problemi sociali.

E’ sempre la sola cosa che puoi chiedere e che nessuno può obiettare al tuo chiederla, poiché non stai chiedendo un regalo; stai chiedendo che ti sia consentito di guadagnarti il tuo mantenimento. Persino la famosa Marcia su Washington di Martin Luther King era pubblicizzata come una marcia per “lavoro e libertà”, poiché se hai il sostegno dei sindacati, deve esserci la richiesta di posti di lavoro. E paradossalmente se le persone lavorano da indipendenti, come liberi professionisti o anche in cooperative, beh, non si iscriveranno al sindacato, vero?

Fin dagli anni ’60 c’è una vena di radicalismo che considera i sindacati parte del problema per questo motivo. Ma io penso che dobbiamo riflettere sulla questione in termini più ampi: come i sindacati che un tempo si facevano promotori di meno lavoro, meno ore, sono finiti essenzialmente per accettare lo strano compromesso tra puritanesimo ed edonismo sul quale si basa il capitalismo dei consumi: che il lavoro dovrebbe essere ‘duro’ (e dunque le persone perbene sono ‘persone che lavorano duro’) e che lo scopo del lavoro è la prosperità materiale, che dobbiamo soffrire per guadagnarci il diritto a giocattoli di consumo.

Nel tuo libro tu parli diffusamente di quanto sbagliata sia la concezione della classe lavoratrice. Specificamente, sostieni che i lavori della classe lavoratrice assomigliavano più da vicino ai lavori solitamente associati alle donne, piuttosto che ai lavori associati agli uomini in fabbrica. Questo significa che i lavoratori dei trasporti hanno più in comune con il lavoro di assistenza degli insegnanti che con quello dei muratori. Puoi parlare di questo e di che rapporto ha con i lavori del cazzo?

Abbiamo questa ossessione per l’idea di ‘produzione’ e di ‘produttività’ (che, a sua volta, deve ‘crescere’, da cui ‘crescita’) che io penso realmente abbia origini teologiche. Dio ha creato l’universo. Gli uomini sono dannati a imitare Dio creando il proprio cibo e vestiario, eccetera, nel dolore e nella miseria. Così pensiamo al lavoro principalmente come produttivo, fare cose – ciascun settore è definito dalla sua ‘produttività’, persino nel settore immobiliare – quando in realtà anche solo un momento di riflessione dovrebbe mostrare che la maggior parte del lavoro non consiste nel produrre nulla; si tratta di pulire e lustrare, e tener d’occhio e prendersi cura, aiutare e allevare e aggiustare e prendersi in altri modi cura delle cose.

Una tazza si produce una volta; la si lava migliaia di volte. E’ questo che è sempre stato anche il lavoro della classe lavoratrice; ci sono sempre state sempre più tate e lustrascarpe e giardinieri e spazzacamini e operatrici del sesso e spazzini e sguattere e così via, che non lavoratori di fabbrica.

E sì, anche i lavoratori dei trasporti, che sembrerebbero non aver nulla da fare oggi che le biglietterie sono state automatizzate, esistono nel caso bambini si perdano, o qualcuno si senta male o per mettere in riga qualche ubriaco che sta dando fastidio… (Qui il problema è che il pubblico è stato così condizionato a pensare come capetti piccolo borghesi che non c’è motivo perché le persone stiano sedute a giocare a carte tutto il giorno solo per il caso che sorga un problema, dunque ci si aspetta che facciano finta di lavorare comunque tutto il temo). Tuttavia noi tralasciamo tutto questo dalle nostre teorie sul valore, che sono tutte incentrate sulla ‘produttività’.

Io suggerisco il contrario, come hanno suggerito le economiste femministe; potremmo considerare anche il lavoro di fabbrica come un’estensione del lavoro di assistenza, perché si vogliono produrre auto a pavimentare autostrade perché si ha cura che le persone possano arrivare dove stanno andando. Certamente qualcosa di simile è alla base della sensazione che le persone hanno che il loro lavoro ha “valore sociale”, o ancor più, che non ha alcun valore sociale se hanno lavori del cazzo.

Ma io penso sia molto importante cominciare a ripensare il modo in cui consideriamo il valore del nostro lavoro, e queste cose diverranno sempre più importanti con l’automazione che rende più importante il lavoro di assistenza, non solo perché, come ho già indicato, sta avendo l’effetto paradossale di rendere tali settori meno efficienti, cosicché ci sono sempre più persone che devono lavorare in quei settori per ottenere gli stessi effetti, e nemmeno perché in conseguenza queste sono le zone di reale conflitto, ma specialmente perché queste sono le aree che non vorremmo automatizzare. Non vorremmo un robot che metta in riga gli ubriachi o che conformi bambini smarriti. Dovremmo vedere il valore solo nel genere di lavoro che vorremmo fatto solo da esseri umani.

Quali sono le implicazioni della tua teoria dei lavori del cazzo per gli attivisti sindacali? Dici che è difficile immaginare come potrebbe essere una campagna contro i lavori del cazzo, ma puoi abbozzare qualche idea dei modi in cui i sindacati e gli attivisti potrebbero cominciare ad affrontare questo problema?

Mi piace parlare della “rivolta delle classi assistenti”. Le classi lavoratrici sono sempre stare le classi assistenti, non solo perché fanno quasi tutto il lavoro di prendersi cura, ma anche perché, forse in parte come risultato, sono in realtà più empatiche dei ricchi. Studi psicologici, per inciso, dimostrano questo. Più ricco sei, meno sei competente persino a capire i sentimenti degli altri. Dunque cercare di reimmaginare il lavoro non come valore o fine in sé stesso, ma come estensione materiale del prendersi cura è un buon inizio.

Di fatto proporrei addirittura di sostituire “produzione” e “consumo” con “assistenza” e “libertà”; assistenza è ogni azione che è alla fine diretta a mantenere o aumentare la libertà di un’altra persona o di altre persone, proprio come le madri si prendono cura dei bambini non solo perché siano sani e crescano e prosperino, ma più immediatamente perché possano giocare, che è l’espressione massima della libertà.

Tuttavia è tutta materia di lungo termine. Nel senso più immediato io penso che abbiamo bisogno di ideare come opporci al dominio del professionale-dirigenziale, non solo nelle organizzazioni di sinistra esistenti – anche se in molti casi, come nel Partito Democratico statunitense, non so neppure se dovrebbero essere definite di sinistra – e così opporci efficacemente alla cazzificazione.

Proprio ora infermiere in Nuova Zelanda sono in sciopero e uno dei temi maggiori è esattamente che da un lato i loro salari reali sono andati diminuendo, ma dall’altro trovano anche che stanno dedicando così tanto tempo a compilare moduli che non riescono a prendersi cura dei loro pazienti. Per molte infermiere si tratta di più del 50 per cento.

I due problemi sono naturalmente collegati perché tutto il denaro che altrimenti sarebbe stato destinato a tenere alti i loro salari è invece deviato ad assumere nuovi e inutili amministratori che poi le caricano di ancor più cazzate per giustificare la propria esistenza. Ma spesso tali amministratori sono rappresentati dagli stessi partiti, addirittura a volte dagli stessi sindacati.

 

Come ci inventiamo un programma pratico per combattere questo genere di cosa? Penso sia una domanda strategica estremamente importante.

 

David-Graeber-140x140 Immaginare un mondo senza lavori del cazzoDavid Graeber è un sindacalista anarchico e docente di antropologia alla London School of Economics. E’ stato tra o primi partecipanti a Occupy Wall Street a New York. I suoi libri includono il premiato ‘Debt: The First 5.000 Years’ (Melville House) e più recentemente ‘Bullshit Jobs: A Theory’ (Simon & Schuster negli USA e Penguin nel Regno Unito).

 

Fonte:  Roarmag.org  

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