Donne minacciate dal “caporalato digitale”

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Una carriera nella tecnologia significa anche stare seduti in angoli bui per infinite ore eseguendo i debugging.

palmer donne 2Photo: Alfred T. Palmer (1906 – 1991)
Da troppo tempo le donne sono le protagoniste di una mancata valorizzazione dei talenti presenti nel mercato e nei luoghi di lavoro. Tuttavia, molti osservatori e la baronessa Joanna Shields ex ministro inglese per la sicurezza di Internet, è tra costoro, sostengono che le tecnologie digitali aiuteranno a colmare il divario di genere, attribuendo all’industria la capacità di superare un po' in tutta Europa i ritardi tipici del mercato del lavoro. Le ragioni di tale fiducia fa riferimento alla dotazione di competenze, grazie alle quali le donne subirebbero una minore minaccia da parte della tecnologia, in quanto unirebbero alle competenze digitali le soft skill, cioè quelle doti personali, i tratti del carattere, i segnali sociali intrinseci e le abilità comunicative necessarie per il successo sul lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni sempre più ricercati nei nuovi contesti lavorativi.

Infatti le soft skill, sono considerate tipicamente femminili, saranno – secondo gli esperti – sempre le più richieste, poiché la visione d’insieme, l’intelligenza emotiva, l’empatia, il saper lavorare in multitasking, in collaborazione e non in competizione, il saper creare e valorizzare le reti sociali, l’attitudine a lavorare in squadra, il problem solving, il pensiero critico, la creatività diventeranno sempre più strategiche, e ne beneficeranno le donne perché sono le uniche – è scrupolosamente accertato – a garantirle. Sebbene i gruppi di lavoro misti assieme a una leadership bilanciata rispetto al genere abbiano un impatto positivo sulle performance aziendali, sovente il mondo del lavoro non è disposto ad avallarle, spesso perché comporta l’abbattimento di una serie di stereotipi. I precedenti storici – in ogni caso – non aiutano, perché sul finire del secolo scorso si era a lungo discusso sulle trasformazioni del mondo del lavoro e delle competenze, specie trasversali, indispensabili per mantenere e allargare il proprio mercato. Anche allora si era sostenuto che tale approccio avrebbe favorito le donne, speciali detentrici di tali competenze. Poi si è visto che non c’era mercato reale per le soft skill, che le imprese non erano pronte e riconoscerle, né a premiarle, soltanto perché donne.

 

Joanna Shields baronessa di Shields scrive

JO"Un mito pervasivo è che una carriera nella tecnologia significa che starai seduta in angoli bui per infinite ore eseguendo il debug di linee di codice senza vita.
In effetti, con così tanto codice open source disponibile per l'uso, le basi del nostro panorama digitale stanno diventando un prodotto sempre più accessibile.
Un premio è posto sul valore che puoi aggiungere ai blocchi standard di codice per renderli vivi.
È molto più probabile che questo processo, incluso lo sviluppo di nuove funzionalità e prodotti, venga eseguito in ambienti di hackathon collaborativi, con team di persone che lavorano insieme su tutto, dal debug alla creazione di innovazioni rivoluzionarie.
Non è più semplicemente la logica di mettere insieme righe di codice. L'ispirazione e le idee svolgono un ruolo molto più fondamentale. E ammettiamolo; non mancano donne con grandi idee e con il desiderio di avere un grande impatto.
È un dato di fatto che i team di sviluppo del prodotto più produttivi e di successo siano equilibrati in termini di genere e includano le donne in posizioni chiave di leadership, ma abbiamo bisogno di più.
Le ragazze hanno bisogno di più sostegno e tutoraggio e abbiamo bisogno di donne di successo che condividano le loro esperienze su vasta scala.
Dobbiamo aumentare la familiarità con le carriere tecnologiche e contribuire a contrastare le percezioni negative. Dovremmo sostenere i modelli di ruolo esistenti nel settore e creare iniziative che creino narrazioni positive e incoraggianti nel loro cammino.".
La determinazione della nobildonna inglese (prima di entrare a far parte del governo, Shields ha trascorso oltre 25 anni nella creazione di alcune delle aziende tecnologiche più famose al mondo), certamente non sarebbe dispiaciuta Anna Kuliscioff (Sinferopoli, 9 gennaio1855 – Milano, 29 dicembre 1925). Aristocratica ed impegnata per la giustizia sociale, ha legato la sua storia al partito socialista ed a Turati.
Femminismo e giustizia sociale erano per lei un binomio inscindibile, poichè la liberazione delle donne, pur nella specificità della condizione femminile, non poteva che avvenire unendo il destino di liberazione delle donne a quello di tutti gli esseri umani. La Kuliscioff nei suoi scritti riporta dati oggettivi che dimostrano come il femminismo sia un termine generico e fuorviante, perché la condizione della donna muta a seconda della sua condizione materiale.
Il femminismo delle borghesi non può essere il femminismo delle operaie. Le donne condividono un problema, ma da prospettive radicalmente diverse. Le proletarie hanno in comune con gli operai lo sfruttamento, per cui la lotta dev’essere comune, devono marciare all’unisono contro gli sfruttatori. Le donne possono e devono imparare dalla comunione della lotta con gli operai un altro modo di vivere e lottare. La loro liberazione diviene l’emancipazione di tutti i lavoratori. La lotta per la difesa del posto di lavoro in fabbrica non conosce confini di genere, ma alleanze con i vessati della storia:

 

aNNA kULISCHOFF2"La lotta di classe puramente economica non è che una parte di questo grandioso movimento che in tutta l'Europa porta il proletariato a dirigere da sé i suoi destini per mezzo dei parlamentari, dei comuni, e dei consigli provinciali. Fra le donne non si potrebbe che iniziare società di resistenza e nulla più, le donne non potrebbero interessarsi della politica del movimento operaio e poi non ci sarebbe neppure possibilità di scuoterle, poiché non hanno né il voto politico, né amministrativo. Sì, l'ammetto benissimo. Ma debbo aggiungere che organizzando le donne in società di resistenza sarebbe già fatto un gran passo avanti. Le società femminili venendo in contatto con le società maschili, comincerebbero presto a capire tutta l'importanza della politica per l'emancipazione del proletariato, anzi direi quasi che soltanto allora il proletariato maschile diventerebbe una vera forza politica. "

Sintentizzando al massimo il pensiero della Kulisciova la realtà è questa: il femminismo è per la borghese soltanto un mezzo per allargare i suoi orizzonti professionali, per ritagliarsi spazi lavorativi senza essere vittima di forme di discriminazione salariale in primis. Borghesi e borghese in competizione si contendono il mercato delle professioni. Per le lavoratrici e i lavoratori, si tratta, invece, di lottare per ritagliare tempi sempre più estesi da sottrarre al tempo del lavoro in favore della vita. L’operaio e l’operaia nella fabbrica non subiscono solo lo sfruttamento, ad essi è sottratta la vita e le relazioni che umanizzano. Il femminismo borghese non può essere il femminismo di una operaia, il mondo è guardato da prospettive situate in condizioni materiali diverse. Le aspirazioni delle femministe borghesi mirano ad essere parte dell’individualismo competitivo. Per la donna operaia lo sfruttatore può essere un uomo come una donna, vive la condizione della dipendenza a prescindere dal genere del dominatore. Per la borghese, invece, il nemico è il maschio che la sottomette o le impedisce l’inserimento in talune professioni.

La donna borghese e la donna operaia non hanno lo stesso dominatore, la borghese ambisce ad imitare la vita del borghese ed ad occuparne gli spazi professionali, l’operaia con il fratello operaio ha l’ambizione di fondare un mondo nuovo, la fratellanza solidale è il suo fine:

"Mentre le donne delle classi medie sono costrette dalla concorrenza vitale a conquistare le professioni monopolizzate sinora dal sesso maschile, l’operaia ha già conquistato, o piuttosto ha subito, da gran tempo il diritto di essere sfruttata al pari dell’operaio, e per effetto dell’evoluzione dell’industria si trova già di fronte all’uomo in condizioni d’indipendenza molto maggiore che non la grande maggioranza delle donne di altre classi sociali. Per la donna borghese si tratta di allargare il campo del lavoro; per la donna operaia, al contrario, si tratta di restringerlo. Si tratta di impedire almeno che la donna venga impiegata nelle industrie insalubri, nelle miniere e nei lavori metallurgici. Se la donna borghese sente soprattutto il bisogno di emanciparsi dall’oppressione del maschio e di rendersi economicamente indipendente in concorrenza con esso, la donna proletaria, più che l’oppressione maschile, ha bisogno di scuotere il giogo del capitalismo, e di concorrente dell’uomo diventa sua compagna di lotta, sul terreno della lotta di classe. Le donne borghesi, raggiunto che abbiano il libero esercizio delle professioni e i diritti civili e politici, trovano aperto l’adito a una condizione sociale moralmente e materialmente degna, che è lo scopo delle femministe, anche secondo l’opinione della signora De Vries; non così per l’operaia, dato lo stato attuale dei rapporti economici. Finchè la donna sarà sfruttata dal capitalismo, non potrà mai rialzarsi né moralmente né materialmente; la sua emancipazione non avverrà che con quella del proletariato maschile. Per la donna borghese l’oppressione viene dall’uomo; per la donna operaia, dal capitalismo. Per la donna borghese uomini e sfruttatori sono sinonimi; per l’operaia lo sfruttatore può essere anche una donna: la donna capitalista, industriale, commerciante, o anche possidente, la donna cioè che eserciti una funzione la quale implichi lo sfruttamento diretto o indiretto del lavoro. ”.

Certamente un personaggio come l’ex ministra, la baronessa Joanna Shields sarebbe stato utile alla Kulisciova per dimostrare che le donne borghesi femministe lottano per consolidare il sistema borghese e capitalistico. Con il linguaggio attuale reso universale dall’ideologia imperante potremmo dire che lottano per l’inclusione: non vogliono sovvertire o riformare radicalmente il sistema.

“Il feminismo attuale delle borghesi non è che una riproduzione del movimento della borghesia maschile rivoluzionaria di un secolo fa, e la libertà per le donne, conquistata nel perdurare del monopolio economico, non potrà essere che la libertà delle donne borghesi. Quanto all’eguaglianza e alla fratellanza, esse rimarranno parole vuote, esse rimarranno parole vuote, come lo rimasero in questo trionfo della società borghese. Ma vi è la maternità che concorrerà ad asservire la donna, vi è la innata prepotenza dell’uomo, fatti indipendenti dall’assetto economico e che sopravviveranno alla rivoluzione proletaria; contro essi la sig.a De Vries non vede nel socialismo alcuna garanzia. Qui, gentile signora, dovremmo ingolfarci nel mare magnum della società futura, che né Lei, né io possiamo precisare e quasi neppure intravvedere. Forse la maternità renderà ancora la donna dipendente, non più dal maschio, ma dalla società; la prepotenza maschile certo andrà scemando, come si è già attenuata in confronto dei secoli passati… I padroni naturalmente preferiscono servirsi piuttosto delle donne che degli uomini, perché le donne sono più ignoranti, più lige all’autorità, non sono organizzate e non presentano nessuna resistenza al capitale e ben di rado si servono dell’arma temibile dello sciopero. L’ubbidienza della donna, la coscienza meno viva della propria personalità, la pazienza, oh, di questa le donne ne hanno fin troppa! Per tutte queste virtù il padrone non ha da temere le donne; esse non si ribellano non sanno essere altro che martiri. E così le donne sostituiscono in gran parte delle industrie l’uomo, in certe industrie non vi sono che le donne. Soltanto nella Lombardia abbiamo più 10 mila di tessitrici quasi 10.000 nella manifattura dei tabacchi. E non c’è alcun paese come l’Italia in tutta l’Europa dove la giornata di lavoro delle donne è così lunga ed i salari così bassi ”.

A distanza di decenni non è che sia cambiata di molto la condizione della donna in Italia. E non soltanto in Italia. Con qualche rischio in più poichè anche il mondo del web favorisce la nascita di figure ibride, che non possono essere chiaramente qualificate né come lavoratori dipendenti né come lavoratori autonomi, sicché è emerso un “caporalato digitale” dove l’individuo/a si trova in proprio a gestire lavoro, tutela e formazione, pagando spesso in termini di minore protezione sociale e più elevata precarietà.

Le foto. Nel 1941 gli Stati Uniti sono appena entrati in guerra, gli uomini vengono richiamati e di colpo la nazione perde la maggior parte della forza lavoro. Mentre i maschi combattono, le donne devono lavorare, proprio nel momento in cui la produzione industriale aumenta il suo fabbisogno a causa della guerra e Alfred T. Palmer le ritrae.

Per saperne di più sulle donne e il digitale vai al dossier: Le dannate del click-click

 

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