Quando la polizia è da Far West

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Il presidente Joe Biden alle prese con la sollevazione anti-razzista e il declino degli Usa

File Frame from Video by Darnella FrazierIl poliziotto  Derek Chauvin preme il ginocchio sul collo di George Floyd che implora: "I can't breathe", "Non respiro". Foto: Immagine ricavata dal video di Darnella FrazierL’assassinio di George Floyd  l'afroamericano soffocato da Derek Chauvin poliziotto di Minneapolis, sotto gli occhi dei telespettatori di mezzo mondo, ha confermato anche a coloro che erano nel dubbio la violenza razzista della polizia statunitense.
Secondo Black Lives Matter (letteralmente "le vite dei neri contano" è un movimento attivista internazionale, originato all'interno della comunità afroamericana, impegnato nella lotta contro il razzismo).
 
Secondo il BLM appunto, la polizia Usa è razzista, ossia adotta nei confronti dei neri comportamenti più violenti di quelli adottati con persone di altro colore.
La polizia Usa è razzista, e lo è saldamente rimasta nonostante le politiche di integrazione, avviate dal riconoscimento dei diritti civili, con il reclutamento di afroamericani e membri di altre etnie-razze per facilitare i rapporti con tutte le comunità.

D’altronde, è un organo deputato a difendere la società, che è, a sua volta, profondamente razzista. Ciò non di meno le vittime della brutalità della polizia Usa non sono soltanto gli afroamericani.

La percentuale di vittime nere della violenza della polizia è intorno al 23-25 per cento. Questo dato è superiore a quello dei neri nell’insieme dei residenti (13 per cento), ma segnala, tuttavia, che c’è anche un 75-77 per cento di vittime non-nere.
Il ricorso alla brutalità, indicato dal numero di vittime annue della polizia (intorno a 1.000, ma forse anche di più, considerato che la polizia non fornisce dati ufficiali), ma che, ovviamente, non si riduce a esso, è di tutta evidenza molto superiore al ricorso alla violenza estrema che viene fatto dalle polizie del resto del mondo.
Ciò avviene nell’ambito della lotta alla micro-criminalità.
La polizia Usa è, dunque, brutale in modo massiccio contro gli afroamericani, ma è, del pari, brutale contro tutti i micro-criminali o quelli che gli sembrano propendere, con i loro comportamenti, verso la micro-criminalità.

Naturalmente, la storia lascia senz’altro le sue impronte, ma più che al Far West bisognerebbe guardare alla violenza senza freni dello schiavismo, dello sterminio dei nativi e della Guerra civile americana, la prima che adottò su vasta scala la distruzione di città e le stragi di civili come atti di guerra, e a tutte le successive guerre che gli Usa hanno combattuto (nella storia non c’è un singolo anno in cui gli Usa non abbiano combattuto da qualche parte, fino al record di Obama, con una violenza ogni volta superiore e più cieca, a partire dagli interventi nella prima e seconda guerra mondiale, in cui gli Usa adottarono con spregiudicata ferocia le tattiche della Guerra civile, mettendo in pratica una sistematica aggressione a civili, fabbriche, infrastrutture civili e città con l’obiettivo dichiarato di suscitare uno scollamento tra popoli e governi nemici.

Ma più ancora della storia il rilievo va dato allo stato attuale della società Usa.
Decine di milioni di persone (non solo afro) abbandonate in uno stato di povertà e precarietà, costrette a inseguire quotidianamente la ricerca di qualcosa per sfamarsi o per acquisire un minimo di paccottiglia che dia impressione di integrazione nelle dinamiche sociali dominanti, ad accettare lavori precari, gravosi, salari di fame, senza assistenza sanitaria, senza casa o con case fatiscenti e sovrabitate, in quartieri miseri e cadenti, ecc.
Una situazione che rende inevitabile la diffusione della micro-criminalità, con furti, rapine, spaccio e la formazione di bande che fanno, tra di loro e contro gli altri, un uso esteso di violenza e prevaricazione, spesso del tutto gratuite.
Inoltre, se prima un po’ di violenza, di furti e rapine, potevano essere fatti nei quartieri ricchi (anche Malcom X, prima di diventare membro della Nation of Islam, viveva rubando nelle case dei ricchi), oggi ciò risulta completamente impossibile.
Gli straricchi sono lontani dalle città, in mega-ville, isolate e super-protette (e durante la pandemia si isolano negli yacht e incrementano l’acquisto di jet privati per evitare contatti negli aerei di linea), ma anche i quartieri del ceto medio benestante sono isolati dalle città e, a loro volta, protetti dalle polizie private e interventi solleciti ed efficaci di quelle pubbliche.
Allo stesso modo sono super-protetti i compound residenziali o da ufficio collocati nelle città (anche qui con uso massiccio delle polizie private). La micro-criminalità può dunque essere esercitata solo nei quartieri poveri, ai danni di popolazioni già misere e vessate.

Ed è in questi quartieri, e in questa situazione, che la polizia dovrebbe intervenire, ufficialmente, per proteggere gli onesti dai malfattori.

Mentre avanzava l’impoverimento di vaste parti della popolazione di ogni colore, mentre si affermava la rigida separazione per censo dei luoghi di residenza e di vita, e mentre cresceva la diffusione della micro-criminalità, lo stato vi provvedeva prioritariamente con l’intervento della polizia, con il mandato precipuo di mantenere l’ordine sociale, ossia contenere la micro-criminalità entro i confini dei quartieri poveri e contrastarla al loro interno con un solo mezzo, la violenza.

Si è, in questo modo, ridotta la micro-criminalità?
Dai quartieri ricchi è, effettivamente, scomparsa (per i poveri anche solo entrarvi per una passeggiata è impossibile. Vi possono accedere solo in funzione di occupazioni servili).
Nei quartieri poveri si è ulteriormente diffusa e, anche a causa della violenza poliziesca, è divenuta ancora più violenta.
Non solo, ma il ruolo della polizia di controllo sociale è divenuto sempre più chiaro ed evidente: non reprime più solo i micro-criminali, ma esercita un controllo preventivo, e sistematicamente violento, contro chiunque appaia potenzialmente tale.
Milioni di bianchi poveri, latinos, asiatici, si sono ritrovati vittime di un trattamento poliziesco che fino a poco fa sembrava riservato, in termini di massa, ai soli neri.

A questa base già esplosiva si sono sommate le misure di confinamento per il coronavirus, che hanno, da un lato, dato nuovo impulso al controllo sociale della polizia, dall’altro privato milioni di persone anche dei loro miseri lavori di sussistenza. Una miscela cui mancava solo la miccia. Giunta con l’assassinio di Floyd. Un certo ruolo è stato giocato anche dalla copertura mediatica data all’assassinio allo scopo di creare difficoltà alla rielezione di Trump, ma ciò non la trasforma certo in una sollevazione a comando, troppe, e troppo solide, essendo le basi materiali che l’hanno scatenata.

La motivazione che ha spinto alla mobilitazione durata più di tre mesi, è espressa felicemente, in uno scambio su facebook, dalle parole di un giovane bianco di Minneapolis “vogliamo riportare la nostra comunità fuori da queste esasperazioni e per questo vogliamo una polizia al nostro servizio”.
Sono pronunciate da un bianco e quindi la comunità non va intesa nel senso razziale, ma in quello sociale.
 
Problematico ipotizzare che si riferiscano (anche inconsciamente) alla classe, ma si riferiscono senza dubbio a una comunità di individui di tutti i colori che condividono una stessa condizione sociale e residenziale, una stessa collocazione nella società, ma si può aspirare al progresso della comunità senza mettere in questione la politica e l’economia dell’intero paese?
La rivendicazione di una polizia al nostro servizio, o di un’espulsione della polizia dalle comunità, coglie la punta dell’iceberg dell’oppressione sociale, ma contiene in potenza un’evoluzione della sollevazione in una direzione più generale, verso, cioè, il corpo dell’iceberg.
Per rendere, infatti, le comunità più pacifiche non basta espellere o riformare la polizia, ma bisogna aggredire anche le cause della loro miseria e del loro degrado, quelle che producono la violenza interna alla comunità.
 
Si può aspirare al progresso della comunità senza mettere in questione la politica e l’economia dell’intero paese?
La cronaca informa che il neo presidente Joe Biden sta seminando la promessa che le ingiustizie saranno affrontate e risolte dentro e fuori della Nazione americana.
Come cattolico dovrebbe conoscere bene il detto di Gesù “Porgi l'altra guancia”. Vediamo come se la cava.

Fonte: Tratto dal saggio di Nicola Casale, "La sollevazione anti-razzista e il declino Usa"

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