Berlinale68°. Una grande edizione al femminile

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C’è perfino un film paraguayano. E poi uno strambo messicano, un po’ di scandinavi (con anche un norvegese che ci fa rivivere la strage di Utoya). La grande novità è che  La Berlinale 2018 si prepara alla sua edizione più femminile di sempre.

FIGLIA MIA di Laura Bispuri, con Valeria Golino e Alba Rohrwacher (Italia)

Su 19 film in Concorso, 4 sono diretti da registe, ovvero circa il 20 per cento del totale.

Le pellicole in questione sono il tedesco 3 Days in Quiberon di Emily Atef, dramma su una famosa star del cinema da seguire per tre lunghi giorni; il romeno Touch Me Not di Adina Pintilie, con protagoniste tre persone che condividono la stessa incapacità a toccare l’altro; il polacco Twarz di Małgorzata Szumowska, storia d’amore travolta da un incidente che costringe il protagonista ad un trapianto di faccia; e per l’appunto l’italiano Figlia Mia, tra i più attesi del Festival.

Ecco l’elenco dei film in concorso alla Berlinale 2018 

FIGLIA MIA di Laura Bispuri, con Valeria Golino, Alba Rohrwacher e Sara Casau. Una bimba divisa tra due madri che, diversamente, la amano: una l’ha cresciuta (Valeria Golino), l’altra l’ha fatta nascere e poi data in affidamento (Alba Rohrwacher)… Bispuri ha già diretto Alba in Vergine giurata, sconvolgendo il suo look e l’immagine che noi ne avevamo (cercatelo, è bello e parafemminista).

UTOYA 22. July di Erik Poppe. Dalla Norvegia arriva la ricostruzione del massacro sull’isola di Utoya, in cui un folle sbarcato carico di armi massacrò la meglio gioventù socialista locale, il 22 luglio 2011. Ce lo racconta Kaja, 18 anni: il film parte 12 minuti prima del primo sparo…

3 DAYS IN QUIBERON di Emily Atef. Altra regista donna in concorso (Berlino ne sfodera 4: vedremo come risponderanno Cannes e Venezia), tedesca stavolta. In uno sfolgorante bianco e nero, Romy Schneider torna tra noi, per farsi intervistare da un giornalista mentre è in rehab e quindi raccontarci la sua vita tra abbandoni sentimentali (Alain Delon, il marito che si suicida), la morte del figlio, il fantasma della giovane imperatrice Sissi. Morirà un anno dopo.

 

SEASON OF THE DEVIL di Lav Diaz. Il fluviale (più Rio delle Amazzoni, che Po, per lunghezze) e premiatissimo regista filippino più famoso del mondo (Leone d’Oro a #Venezia 2016), si ferma a 234 minuti che gli servono per firmare un musical-anti musical (definizione sua), dove ogni riferimento ai maledetti del rock non è casuale. Sympathy for the devil a Manila? 

BLACK 47 di Lance Daly. Un western Made in Ireland, ambientato nell’Ottocento della grande carestia delle patate, con un soldato che abbandona l’esercito inglese per tornare in famiglia. C’è l’australiano Hugo Weaving di Priscilla la regina del deserto (ma non canta en travesti, stavolta).

DAMSEL di David e Nathan Zellner. Ma Robert Pattinson fa film ormai solo con registi/fratelli che lavorano in coppia? Dopo i Saftie di Good Time (bello!), altri due giovani a cui presta la propria fama. Lui e Mia Wasikowska sono una coppia in costume, con lui uomo d’affari che raggiunge lei nel Far West.

DON’T WORRY, HE WON’T GET FAR ON FOOT di Gus Van Saint. Back to the wonderful past… A quando il regista e Joaquin Phoenix facevano film come Da morire. Qui l’attore è straodinario nella parte di John Callahan, passato da un incidente che lo lascia in sedia a rotelle all’alcolismo e quindi alla fama come uno dei più rivoluzionari e talentuosi fumettari americani contemporanei. Il regista lascia il film al suo protagonista che ha al fianco l’amico Jonah Hill e la girlfriend Roney Mara. La coppia più glam del festival.

DOVLATOV di Alexey German jr. Sei giorni nella vita di uno scrittore dissidente, nell’URSS che sta caracollando verso la fine ma non lo sa. Il tutto in salsa russa e ‘germaniana’, regista del geniale/bellissimo/struggente Soldati di carta, storia di cosmonauti all’epoca del disgelo kruscioviano (1961). Attenzione: premio in arrivo…

ELDORADO di Markus Imhoof. Il mitico regno dell’oro non sta in Sudamerica, ma è la Svizzera, paese dei sogni per i migranti/esuli di ieri, oggi, difficilemnte – con le nuove regole – di domani… I migranti sono ormai tema da festival cinematografico, dopo che l’artista cinese Aiweiwei li ha ‘sdoganati’ a #Venezia2017

EVA di Benoit Jacquot. Che festival è senza Isabelle Huppert? E infatti eccola, la nostra IH quotidian/festivaliera. Stavolta è la donna misteriosa, dark lady che ammalia e mette nei guai lo sceneggiatore Gaspard Ulliel, come da storia di James Hadley Chase già portata sullo schermo da Jeanne Moreau. Isabelle Huppert in parrucca nera non teme – ovviamente – il confronto…

THE HEIRESS di Marcelo Martinessi. La sorpresa paraguayana, in arrivo da un paese famoso perché rimasto chiuso al mondo per decenni, governato da un generale padre/padrone e poi da un cittadino che andava in giro in Diane e motorino… Anche il film è misteriosissimo. Si fanno film in Paraguay? A quanto pare sì… Da scoprire sul campo.

IN THE AISLES di Thomas Stuber. La vita e l’amore tra gli scaffali del supermercato. Il protagonista è un commesso al primo impiego. Made in Germany…

ISLE OF DOGS di Wes Anderson. I cani che vivono sull’isola, raggiunti da un ragazzino Giap che non vuole lasciare il suo pet, parlano/sono (il film è un cartoon): Tilda Swinton, Scarlett Johansson, Edward Norton, Bill Murray, Greta Gerwig, Jeff Goldblum, Frances McDormand, Harvey Keitel… È il film di apertura: se vengono tutti, sarà il red carpet più all star della storia (non solo di Berlino).

PIG di Mani Haghighi. Maiale in persiano si dice Khook e, in teoria, non si dovrebbe mangiare. Non c’entrano né Babe, né la Peppa, ma un adulto dai look folli e la star locale Leila Hatami, premio Oscar (per Una separazione) e già premiata a Berlino. Il registo è lo stesso del più bel giallo mai arrivato dall’Iran, About Elly.

MY BROTHER’S NAME IS ROBERT AND HE IS AN IDIOT di Philip Groning. Un titolo così? Solo un tedesco… Attenzione: potrebbe essere il film scandalo della Berlinale 2018. Robert è il gemello di Elena e i due sono in odore di incesto…

THE PRAYER di Cedric Kahn. Il regista francese e la storia dell’ex drogato che finisce in un centro di recupero/monastero isolato, dove il metadone è sostituito con la preghiera…

THE REAL ESTATE di Mans Mansson e Axel Petersen. La casa infestata è nel centro di Stoccolma. La eredita una 68enne che crede di aver finalmente raggiunto la meritata e sognata esistenza borghese. Crede…

MUSEO di Alonso Ruizpalacios. Non è un nuovo The Square, e Gael Garcia Bernal non è un curatore sull’orlo di una crisi di nervi. Piuttosto siamo dalle parti delle grandi rapine cinematografiche: nel 1985, un una banda di criminali locali tentano l’audace colpo rubando 140 pezzi pre-colombiani dal Museo antropologico di Città del Messico.

TOUCH ME NOT di Adina Pintilie. Non è il motto di #MeToo, ma la regista rumena racconta di tre persone e delle loro love story disfunzionali, con persone che non vogliono essere toccate…

TRANSIT di Christian Petzold. Dal regista del magico Phoenix, la storia di un tedesco che a 27 anni, alla fine della Seconda Guerra mondiale, arriva a Marsiglia per consegnare una lettera e finisce con l’essere scambiato per il mittente. La ‘bella’ è Paula Beer, rivelazione di #Venezia2017 con Frantz.

MUG di Malgorzata Szumowska. Da operaio nella fabbrica dove si sta costruendo la più grande statua di Cristo di sempre, a vittima di un incidente che lo costringe a cambiare volto. E lui non si riconsce più. Cose molto polacche…

UNSANE di Steven Soderbergh. Claire Foy dice addio a The Crown e fa le prove generali di Lisbeth Salander diretta dall’attivissimo regista (ma non aveva smesso?) degli Ocean’s e di The Knick in tv. Una giovane donna finisce in manicomio: ma ci è finita davvero o è la sua immaginazione malata?

7 DAYS IN ENTEBBE di José Padilha. Il regista di Narcos racconta, con Rosamund Pike e Daniel Bruhl, di qaundo nel 1976 i terroristi palestinesi dirottarono in Africa un volo isrealiano. Il Mossad caricò i suoi migliori soldati/agenti e li spedì da Tel Aviv a Entebbe, per riportare a casa gli ostaggi. Si salvarono tutti, tranne uno. E tra i soldati che non tornarono, ci fu anche il fratello eroe del premier Benjamin Netanyahu

AGA di Milko Lazarov. Aga torna a casa, dai genitori, quando la madre si ammala. I genitori vivono in un igloo. Sono eschimesi. Il regista è bulgaro… Questo è il cinema, bellezza…

A questi film della competizione ufficiale (in concorso per l’Orso d’oro e fuori concorso: gallery), aggiungete, nelle altre sezioni, The Happy Prince il biopic su Oscar Wilde firmato Rupert Everett (“Sarà il film della mia vita… L’unico che alla fine mi salverà”, disse l’attore inglese al #Venezia2016), il nuovo film della regista spagnola Isabel Coixet (The Bookshop, con Emily Mortimer libraia di provincia, nell’Inghilterra del 1959) e Profile, storia di un giornalista inglese che si inflitra nell’Isis diretta da Timur Bekmambetov (cercate la sua trilogia sui vampiri a Mosca: strepitosa).

Attesissimo Songwriter il documentario di Murray Cummings su Ed Sheeran seguito durante tutta la lavorazione del suo ultimo album: se la sua performnce da attore in Il trono di spade è stata bocciata dai fan, scommettete che a questo docu andrà di certo meglio?

Jonas Carpignano, regista di A Ciambra il film che avevamo candidato all’Oscar nella categoria Miglior film stramniero (sconfitto), è nella giuria che premierà le opere prime e Matilda De Angelis rappresenterà l’Italia agli Shooting Stars, ovvero la selezione dei migliori giovani talenti europei.

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