Accade in Germania, a Tubinga, fino al 9 dicembre. Si svolge il più importante festival tedesco dedicato al cioccolato. Vasta è la presenza dei cioccolatai italiani. Dopotutto Tübingen è gemellata con la capitale italiana del cioccolato, Perugia. Perché i tedeschi ne sono i più golosi in Europa? Esploriamo qui le origini vere di questa cultura
Xocoatl - il Cibo degli Dei
Il cacao, la materia prima del cioccolato, era già conosciuto, coltivato e lavorato dai popoli mesoamericani molti secoli prima dell’Era Cristiana. Gli Olmechi (1.500-400 a.C.), stabiliti sulle pianure costiere del Golfo del Messico furono tra i primi popoli a coltivare il cacao.
L’utilizzo umano di questa pianta sono però più antiche: in Perù un vaso di 2.500 anni è decorato con elementi a forma di bacche di cacao.
Per migliaia di anni il cacao, prodotto della natura sensibile alle condizioni ambientali, è stato prodotto e consumato nell’America Centrale, in una vasta area tra il Messico centrale a nord, e Guatemala, Belize, El Salvador e Honduras occidentale. Per molte culture dell’America precolombiana - popolata da genti storicamente e socialmente stratificate, Olmechi, Maya, Toltechi, Aztechi - i semi di cacao e i commestibili prodotti con essi svolsero un ruolo centrale tanto nelle credenze e nei rituali religiosi quanto negli assetti sociali ed economici.
Il cacao venne citato per la prima volta da Cristoforo Colombo nel diario del primo viaggio (1492). Ne riparlò nel 1502 durante il suo quarto e ultimo viaggio in America: sbarcò in Honduras dove ebbe l'occasione di assaggiare una bevanda a base di cacao ma non dette alcuna importanza alla scoperta, probabilmente non particolarmente colpito dal gusto amaro della bevanda.
Per i popoli centroamericani, invece, era un toccasana, una scossa di energia, amplificava le risorse del corpo e dello spirito.
Nel 1519 Hernan Cortés sbarcò sulla costa orientale del Messico e fu scambiato per il dio Qutzalcoatxoco-huatl. Cortés riconobbe subito le potenzialità del cioccolato, al di là del sapore disgustoso della bevanda trovata piccante e amara, e ne intuì le proprietà nutritive, energetiche e stimolanti.
Il cacao attraversa l'oceano
Il commercio transoceanico del cacao iniziò solo nel 1585, anno in cui il primo carico di chicchi raggiunse Siviglia da Veracruz. Che la storia del cioccolato cominci in Spagna ci sono pochi dubbi: Siviglia rappresentò il punto d’entrata, ma fu Madrid a vedere la prima fioritura di una cultura europea del cioccolato.
Le autorità municipali, temendo che il consumo sfrenato di cioccolata potesse fornire al mondo un’immagine sbagliata della città, fecero di tutto per stroncare il nascente commercio del prodotto.
Nel 1644 il sindaco di Madrid promulgò un decreto in base al quale nessuno, né in un negozio, né in casa propria, né in qualunque altro luogo, poteva vendere la cioccolata da bere.
Per tutto il XVI secolo l’uso del cacao rimase strettamente confinato alla Spagna. Nel resto dell’Europa la cioccolata fu accolta con diffidenza.
A cavallo tra il ‘500 e il ‘600 la cioccolata giunse in Italia, precisamente in Piemonte, grazie a Caterina, figlia di Filippo II di Spagna, che sposò nel 1585 Carlo Emanuele I, duca di Savoia.
Il cacao arrivò a Firenze nel 1606 grazie a Francesco d’Antonio Carletti, un uomo d’affari fiorentino che alla fine del Cinquecento aveva fatto il giro del mondo, arrivando a visitare le piantagioni di cacao in Salvador, descrivendone tutte le fasi di lavorazione. Ne parlò con interesse e scrisse che la cioccolata era una bevanda che faceva bene all’organismo e si beveva ormai sia al mattino sia alla sera. Non era più una bevanda amara perché veniva addolcita con lo zucchero. Per chi dovesse trovarsi in viaggio, scriveva Carletti, esistevano delle confezioni apposite, ossia delle scatole piene di pastiglie di pasta di cacao che si scioglievano velocemente in acqua calda.
Alla fine del Cinquecento la cioccolata giunse nei Paesi Bassi e arrivò in Francia con il matrimonio di Luigi XIII con Anna d’Austria. Sembra che la nuova regina si fosse portata dalla natia corte tutto il necessario per preparare la sua amata bevanda. Anche Alphonse de Richelieu, cardinale di Lione e fratello maggiore del più noto Richelieu, ministro del Re Sole, beveva la cioccolata per calmare la sua milza e pacificare il suo carattere furioso e folle. Il cardinale Mazarino, successore di Richelieu nel 1643, ebbe una particolare passione per la cioccolata e portò dall’Italia due cuochi esperti nell’arte di preparare il cioccolato.
Un ulteriore impulso al consumo del cioccolato in Francia venne dato dall’infanta Maria Teresa di Spagna, andata in sposa a Luigi XIV nel 1660: ella portò da Madrid il suo seguito di dame di corte e queste, come la sovrana, bevevano tutte cioccolata.
Verso la metà del ‘600 la cioccolata si insinuò nella vita inglese insieme al caffè e al tè; all’inizio la nuova bevanda fu una parente poverissima delle prime due.
Le coffee-house erano di gran moda e se la cioccolata veniva bevuta in questi locali rappresentava comunque qualcosa di secondario rispetto all’attività principale. In alcuni di questi locali si poteva acquistare cioccolato in polvere insieme a una lista di istruzioni su come preparare la bevanda a casa propria. La cioccolata non suscitò lo stesso livello di passione. Delle tre nuove bevande era la meno potente come stimolante e quindi veniva considerata un preparato più calmante che eccitante. Era anche associata più strettamente al sesso femminile rispetto al caffè o al tè: le coffee-house erano locali riservati esclusivamente agli uomini e il caffè potrebbe essere stato considerato una bevanda inappropriata per le signore. Nel 1657 fu aperta la prima cocoa-house a Londra gestita da un francese in Bigshogate street.
I mercati del cioccolato oggi
Nei Paesi occidentali il consumo di cioccolato ristagna o decresce (-2% dal 2010 al 2015 in Nord America). In compenso, aumenta la spesa complessiva (in Europa del 2%, negli Usa del 4%).
In poche parole: se ne mangia meno, ma è più caro. In Cina, negli ultimi dieci anni, i consumi sono più che raddoppiati, anche se rimangono lontani da quelli occidentali: 100 grammi all’anno i cinesi, 8 chili gli inglesi.
Le previsioni dicono che la Cina sarà il secondo mercato del cioccolato entro il 2020. Nel 2016 sono stati spesi in cacao e derivati almeno 123 miliardi di dollari, quasi 30 soltanto in tavolette o barrette di cioccolato, in prevalenza al latte, con una crescita del 12% tra il 2012 e il 2016. La produzione annua a livello mondiale è calata del 5% nel biennio 2013-2015, per tornare a crescere e segnare il record di produzione di 4milioni di tonnellate nel 2016.
Le stime Icco (Organizzazione internazionale del cacao) indicano che dal 2020 si avrà un deficit dell’offerta di cacao rispetto alla domanda. I mercati internazionali hanno risposto con un aumento del prezzo del cacao. Ma quando Euromonitor, all’inizio dello scorso anno, ha definito i dati ICCO sbagliati, il prezzo del cacao è crollato del 30% in meno di 3 mesi. Segno di una forte speculazione su questo prodotto. Il mercato italiano vale 2,5 miliardi di euro.
I maggiori trasformatori al mondo sono gli olandesi con una produzione annua di 530mila tonnellate.
Sembra che nel Vecchio Continente siano i tedeschi i più golosi
Infatti, secondo l'ultima ricerca condotta da Mintel, la Germania ha coperto da sola un quarto (24 %) dei consumi di cioccolato dell’area. La Francia e Regno Unito detengono ciascuna una quota del 20% del mercato, seguono il mercato italiano e quello spagnolo.
La reputazione della Germania come "Paese del cioccolato" è anche rafforzata, secondo la ricerca Mintel, da un consumo pro capite di oltre 8 kg all'anno, di gran lunga il più alto in Europa occidentale, gli inglesi ne mangiano 6,5 kg all'anno, i francesi 5,7 kg, italiani e spagnoli 1,7 kg.
La Germania rimane il mercato del cioccolato più grande d'Europa, nonostante un piccolo calo dal 2010 e, i produttori farebbero bene a considerare le motivazioni che muovono i consumatori tedeschi a mangiare cioccolato, dal momento che si distinguono per abitudini di acquisto e consumo particolari. Essi hanno una forte tradizione nella categoria, sostenuta da una serie di marchi affermati e rispettati.
A comprare cioccolato, i tedeschi sono i più propensi agli acquisti d'impulso, tanto che ne è interessato ben il 45%, contro il 33% dei francesi, il 30% degli italiani e il 20% degli spagnoli. La percentuale sale ancora fra i mangiatori di cioccolato teutonici, arrivando al 54%, come fra i britannici.
Ma i tedeschi non sono solo compratori impulsivi, sono secondi solo ai francesi (84%) quando si tratta di acquistare il cioccolato per coccolarsi o per migliorare l’umore. La percentuale scende a due quinti (41%) fra i britannici, mentre risale a poco più della metà (58%) fra gli italiani e al 66% fra gli spagnoli.
La voglia di dolce è un’altra delle ragioni più diffuse che spinge all’acquisto di cioccolato i consumatori europei. Quasi sette su dieci italiani (66%) e sei su dieci (60%) tedeschi e spagnoli comprano cioccolato per questo motivo, mentre i francesi sembrano i più bravi a resistere alla tentazione, con solo il 36% che non sa dire di no al cioccolato quando viene assalito dalla voglia di dolce. Invece, il 71% dei britannici considera il cioccolato un bel regalo.
I consumatori europei non amano condividere il loro cioccolato, solo il 29% dei tedeschi cita la voglia di condividere con gli altri come motivo per l'acquisto di cioccolato, contro il 42 % degli italiani e il 30% di francesi e spagnoli, mentre il 56% dei consumatori abituali di cioccolato britannici finisce per condividerlo con gli altri.
Questo suggerisce ai produttori e rivenditori l’esigenza di prestare particolare attenzione al posizionamento del prodotto: aumentandone la visibilità nella zona delle casse nei supermercati e in altri punti vendita, oltre a proporre tavolette monodose nelle corsie, si potrebbero infatti migliorare le vendite tra gli acquirenti d’impulso, ed anche nella pubblicità.
Ora in un momento di crisi economica, i consumatori sono particolarmente attenti al portafoglio. Anche, se i consumatori europei possono essere inclini agli acquisti di impulso e mangiare cioccolato per sollevare lo spirito, sono anche sensibili al prezzo quando comprano prodotti dolciari. Più di un terzo (36%) dei consumatori di cioccolato tedeschi acquista il cioccolato quando è in offerta speciale, rispetto al 32% dei francesi, il 16% degli spagnoli e il 22% degli italiani.
Questo suggerisce che, se gli europei si affidano al cioccolato per tirarsi su il morale, parte del miglioramento d'umore può venire proprio dal trovare la tavoletta di cioccolato preferita ad un buon prezzo. Per i produttori, il trucco è quello di riuscire a posizionare il prodotto nel punto di intersezione fra un prezzo conveniente e la capacità di suscitare un buon feeling.
L’export del cioccolato made in Italy
Ha raggiunto i 665 milioni di euro, il 6,1% del mercato mondiale.
La Cina ha scoperto il cioccolato da pochi anni, ma ha scalato subito la classifica divenendo il nono mercato mondiale del cioccolato già nel 2012 con una crescita annua del 5%. Ad oggi non si hanno stime precise ma si calcola che la Cina sarà il secondo mercato del cioccolato entro il 2020. Dunque un mercato ancora tutto da conquistare.
In tutto il mercato italiano vale 2,5 miliardi di euro, ma negli ultimi 3 anni si è ristretto. Quello che invece è cresciuto negli ultimi anni è stato l’export di cioccolato, che hanno raggiunto i 665 milioni di euro (siamo i primi sul mercato cinese). E rappresenta il 6,1% del mercato mondiale, al quinto posto tra i paesi europei nell’export del cibo degli dei.
La materia prima, ovvero il cacao, arriva principalmente da Costa d’Avorio (1,7 milioni di tonnellate annue nel 2015) e Ghana (835mila tonnellate nel 2015), che insieme coprono quasi il 60% del mercato mondiale. Con il loro cacao sono prodotti soprattutto cioccolati da copertura, mentre quelli provenienti da Venezuela, Ecuador, Colombia e Perù sono utilizzati per tavolette, praline, cioccolatini.
I maggiori trasformatori al mondo sono gli olandesi con una produzione annua di 530mila tonnellate.
Gli italiani non sono dei grandi consumatori di cioccolato: 4 chili rispetto ai 9 degli svizzeri. Il fondente resta il preferito, con il 40% degli acquisti, seguito da quello al latte e da quello bianco che perdono mercato, anche a causa dell’aumento dei consumatori intolleranti al lattosio. In compenso si aprono nuovi mercati: biologico, halal, kosher, vegano, senza glutine.
Alla classica tavoletta vengono preferiti i formati più piccoli come le praline.
A Firenze e Venezia prima, Torino poi, si cominciò a produrre ed esportare cioccolato in tutta Europa.
È del 1678 la prima autorizzazione concessa dalla Casa Reale Sabauda, “a vendere pubblicamente la cioccolata in bevanda”.
Nel 1802 il genovese Bozelli mise a punto uno strumento idraulico per raffinare la pasta di cacao e miscelarla con zucchero e vaniglia. Nel 1819 a Corsier-sur-Vevey, sul lago di Ginevra Francois-Louis Cailler mette a punto un composto morbido che gli permette di ottenere per primo un prodotto destinato a cambiare la storia del cacao: la tavoletta di cioccolato.
Da quel momento il cioccolato cessa di essere solo una bevanda e si reinventerà nel tempo in migliaia di prodotti golosi.
Fu dopo la metà dell'Ottocento che si impiantarono le prime fabbriche italiane di cioccolato, le ancor oggi famose Caffarel, Majani, Pernigotti, Venchi e Talmone.
La crescente diffusione del cioccolato fece sì che nel secolo scorso ne fosse introdotta la produzione a livello industriale grazie a grandi aziende come: Perugina, Novi, Peyrano, Streglio, Unica e Ferrero.
Ma il vero e proprio salto di qualità dell’arte cioccolatiera italiana è più recente e si deve per lo più a piccoli produttori come Amedei, Domori, Guido Gobino ed altri che con passione selezionano e sperimentano le migliori fave di cacao e i cru più pregiati da tutto il mondo. Segno evidente della grande attenzione del pubblico verso il cioccolato sono, infine, gli eventi come l’Eurochocolate di Perugia o quello di Modica che attraggono centinaia di migliaia di visitatori, così come le più modeste ma sempre più numerose manifestazioni che si moltiplicano in quasi tutti i comuni d’Italia.
Che futuro per il Cioccolato?
Più di ogni altro prodotto alimentare il settore dolciario ed in particolare il cioccolato è stato investito dalla crisi. Coinvolto in cambiamenti legati a nuovi stili di vita del consumatore come, i consumi fuori casa, l'attenzione ai prodotti healthy, hanno portato ai produttori di cioccolato a focalizzarsi su aspetti diversi.
I produttori di cioccolato ora si sono focalizzati su aspetti diversi. Oltre alla qualità infatti, il consumatore odierno si aspetta di vivere un’esperienza che coinvolga tutto l’universo legato al prodotto.
Il consumatore ha gusti sempre più ricercati, particolari, a volte anche troppo originali. Se prima era la qualità del prodotto a fare la differenza, ora la bontà del prodotto non basta più. Il produttore deve armarsi di buona pazienza ed un’enorme quantità di creatività. Quello che ricerca il consumatore è vivere un’emozione stimolante che riguardi tutto il contesto del prodotto.
A questo proposito entrano in gioco gli elementi sensoriali:
L’OLFATTO: è uno dei sensi più potenti perché capace di esaltare la percezione del gusto con una ricca gamma di sfumature. Il profumo del cioccolato può essere talmente invitante da stimolare le papille gustative ancora prima di assaggiarlo. L’aroma infatti, incrementa l’aspettativa, fornendo alla presentazione del prodotto un valore aggiunto se sapientemente abbinata al gusto.
IL TATTO: ogni sensazione che si avverte sulla lingua, sul palato e sulla bocca sono tutti stimoli tattili. Ad esempio, un gusto fresco, una consistenza cremosa, un contrasto di texture (vellutato vs. croccante) non sono qualità gustative ma rigorosamente tattili. In generale, i consumatori, molto probabilmente stanchi del mondo virtuale di oggi, hanno riscoperto il valore dell’autenticità dei prodotti, facendo estrema attenzione all’etichetta Made in Italy.
Ad esempio, l’azione di assaggiare un prodotto Made in italy si trasforma in esperienza sensoriale perché capace di sviscerare ogni singola peculiarità insita nella Cultura Italiana.
LA VISTA: la relazione esistente tra il colore ed il gusto è più complessa di quanto sembri e influenza percezioni primarie come il dolce e l’ amaro. Una ricerca condotta da Alicía Foundation ha trovato interessante come il colore del cibo possa influenzare la dolcezza ed il gusto. In un’altra ricerca è stato osservato che, in generale le persone tendono mangiare di meno quando il cibo viene servito in un piatto rosso, un colore troppo impegnativo per la vista.
Curiosità, durante la grande depressione, i ristoratori notarono come i commensali fossero soddisfatti anche con piccole porzioni di cibo se servite su piatti di colore blu.
Controtendenza
In un’epoca caratterizzata dal forte consumismo e dalla standardizzazione di qualsiasi cosa, si denota una controtendenza, quella di consentire al cliente di gustare prodotti unici, altamente personalizzabili, aggiungendo valore anche a quei beni considerati di largo consumo, come il cioccolato. La personalizzazione di tutti gli accessori che orbitano attorno al cioccolato, possono elevare la fedeltà dei clienti ed il loro coinvolgimento nei confronti della marca.
Ne è un tipico esempio, anche di come le aziende italiane abbiano guidato questo trend, il "cioccolato premium". La Ferrero sin dagli anni ottanta introduceva "Rocher". Proporre un prodotto premium significa, aprire il vostro cuore e le vostre braccia al consumatore che, nel momento in cui si sentirà amato, sarà pronto a pagare un prezzo maggiore per il vostro prodotto premium!
Healthy
I consumatori di oggi sono particolarmente attenti a gustare cibi sani e genuini.
Anche nei prodotti più golosi come il cioccolato, è forte la richiesta di acquistare un prodotto a basso contenuto di zucchero e gluten – free. inoltre, il latte di cocco nel cioccolato viene sempre più richiesto: non contiene lattosio, diventando un ingrediente adatto all’alimentazione dei soggetti più sensibili. Inoltre, essendo completamente vegetale, il latte di cocco rientra nella lista degli alimenti concessi nelle diete vegetariane o vegane.