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Alla Fiera internazionale del libro di Francoforte l'Italia offre l'immagine di un Paese nel quale la crescita stenta e questa condizione è trasversale per la gran parte dei settori economici, editoria inclusa.

 Burchmesse copy copyAl Buchmesse, la fiera internazionale del libro di Francoforte, si discute di noi, gli italiani. Per essere più precisi, si analizza lo stato di salute del lettore e, conseguentemente, dell’editoria italiana. Ebbene, come stiamo?

In questi giorni una lente d’ingrandimento è puntata, come sulle lettere miniate di un vecchio tomo, sull’impresa italiana del libro. Il che ci rende orgogliosi, vista la preparazione per la partecipazione dell’Italia come Paese Ospite d’Onore al Buchmesse del 2023; ma ricevere tutta quest’attenzione, da parte di una delle maggiori fiere del libro al mondo, per qualcuno potrebbe costituire fonte di nervosismo e d’imbarazzo, perché il Buchmesse è una sorta di conclave tra gli operatori del settore.

Tra strette di mano, baci e abbracci, sorrisi e sorrisetti, editori, agenti letterari e grandi distributori s’incontrano, parlano, sparlano, esprimono giudizi, fanno bilanci e traggono auspicia dall’osservazione del volo degli uccelli e c’è chi, tra gli addetti ai lavori, si domanda quale genere di pennuto svolazzi sulla testa dell’editoria italiana (avvoltoi o gufi?).

Tra i padiglioni del Buchmesse, alcuni dei quali disposti su due o tre piani sovrapposti, intitolati in base all’area geografica o alla merceologica specifica, l’editoria italiana com’è vista in prospettiva?

Stiamo qui discorrendo di un’industria, quindi di economia, e da qualche anno quando in Italia s’intavola questa discussione, specificamente d’impresa, sono tutti pronti a tastare il polso dell’ammalato. Sulla questione c’è poco altro da dire o da aggiungere a quanto già detto e aggiunto da pressoché chiunque. Nella nazione in cui chicchessia è un opinionista, il punto è solo uno: in Italia la crescita stenta a darsi una mossa. 

Quindi, come sta la fabbrica italiana dei libri? Stare ottimisti o, al contrario, aspettarsi la catastrofe dipende dai bilanci che periodicamente sono resi noti.

Il ‘Rapporto 2018 sullo stato dell’editoria in Italia’, recentemente sfornato dall’AIE (Associazione Italiana Editori), tira le somme del 2017 e dà uno sguardo al primo semestre di quest’anno. Per tagliare corto, si evidenzia una crescita sostanzialmente piatta, andamento che parrebbe in linea con quello più generale dei consumi delle famiglie. In buona sostanza, trasversalmente si cresce poco o nulla. Perché?

In Italia si legge poco. Affermazione, questa, diffusa e realistica. Ed è colpa di tutti e di nessuno, come al solito. Magari a breve un nuovo rapporto dirà che in Italia ci sono più editori che lettori e (pensate un po’) già gira la voce che in Italia ci siano più scrittori che lettori e che gli scarafaggi sopravvivranno all’uomo in caso di guerra nucleare. Si dicono tante cose, tuttavia è sicuramente vero che l’Italia è costellata di piccole e medie imprese e da questo schema non sfugge l’editoria. 

L’industria libraria italiana comprende rari grandi astri luminescenti, pochi pianeti vivibili e una miriade di micro realtà editoriali. È il risultato della libertà d’impresa (cioè la libertà dell’iniziativa economica privata sancita dall’articolo 41 della nostra bella Costituzione)? Sì, con i suoi pro e i suoi contro. È un fatto che l’editoria stia poco bene, ma a pensarci un attimo… gli scrittori stanno bene? Qual è lo stato di salute degli invisibili esordienti e autori semi o del tutto sconosciuti? È pessimo. Occorre occuparsene? 

A tanti (oserei tantissimi) piace scrivere e, come si sa, a pochi piace leggere o, comunque, il lettore è sempre più un animale in pericolo d’estinzione. Al contrario proliferano gli scrittori di ogni genere (letterario). E chi sfama le aspettative di questa massa sempre più folta?

Il web straborda di forum in cui esordienti e autori in cerca di editore si mettono a nudo, confrontandosi costruttivamente. Queste piazze sono luoghi virtuali, grazie ai quali si apprendono informazioni utili su questo o quell’editore e s’ingoiano pillole di saggezza prodotte e distribuite da chi ha dovuto mandar giù più di un boccone amaro. 

Tramite questa rete informativa, davanti allo schermo del pc lo scrittore vergine, o quello deluso dalle promesse di un editore poi rivelatesi inconsistenti, si fa le ossa rischiando, però, di sprofondare nelle acque del “mal comune mezzo gaudio”, mentre “siamo tutti nella stessa barca” diventa il mantra preferito della comunità degli aspiranti al successo. 

È in questo spazio che si realizza la stragrande maggioranza degli approcci, sovente di natura infelice, con la classe (o casta) editoriale. A questo punto la strada piglia diverse direzioni: editoria a pagamento, free, a doppio binario, self-publishing, concorsi, premi, agenzie letterarie, etc… e sullo sfondo un panorama fatto di editori piccoli (un’infinità di satelliti), medi (i pochi pianeti vivibili) e grandi (i rarissimi astri luminescenti).

Lo scrittore in erba è una delle innumerevoli meteore che viaggia nutrendosi di pazienza e, soprattutto, portando sulle spalle una grossa tanica di speranza, ossia il propellente per arrivare alla meta: la pubblicazione. L’obiettivo di chi scrive è di cadere su un pianeta in cui esistano forme di vita intelligente o (massima aspirazione) di precipitare nella luce nirvanica di un rarissimo astro luminescente. 

L’editoria è una galassia sregolata dell’universo economico, che pare non volerne sapere di abbandonare il trambusto assordante da Big Bang appena deflagrato. Lo scrittore, frastornato e sprovvisto di un curriculum appetibile, ci prova e ci riprova pur di farsi pubblicare e in tanti sono disposti ad accettare qualunque proposta di edizione precipiti nella propria casella di posta elettronica. 

Tra un mare di spam e di rifiuti, un giorno allo scrittore ottimista sopraggiunge un “sì” che, però, non chiude il faticoso e lungo percorso intrapreso fino a quel momento, bensì apre la via ad altre incertezze: e la distribuzione?... e il numero di copie?... e le royalty?... e l’editing?... e il contributo da parte dell’autore sì o no?... e via discorrendo.

Oppure capita che un editore carpisca il potenziale insito nell’esordiente; seguono velati consigli elargiti gratuitamente su come l’ultimo arrivato, con ancora una metaforica stilografica nel taschino, farebbe bene ad abbandonare i concetti difficili, che non sarebbe male accantonare gli aspetti filosofici e che dovrebbe imparare a non porre problemi o a sollevare domande che implicherebbero lo sforzo, per il lettore, di elaborare una risposta o, peggio, altri interrogativi. Il “difficile” l’esordiente potrà permetterselo quando non sarà più un esordiente, il che equivale a farsi un nome prima di poter essere se stessi. 

Dunque, con cosa sarebbe meglio iniziare? Ad esempio scrivere di cucina, perché l’industria del cibo va alla grande, perché in tv è quasi impossibile non scegliere un programma (anche quelli di approfondimento politico) in cui non sia presente un autorevole chef.

L’editore è un imprenditore (in crisi) e persegue uno scopo di lucro, molti scrittori esordienti e autori alle prime armi dovrebbero ricordarlo o, addirittura, annotarlo con un pennarello indelebile sulla propria fronte. L’editoria è (anche) quanto sopra esposto e il libro è il prodotto finale, evidente ma non sempre innocuo, di un meccanismo il cui funzionamento non è ben chiaro ai più. Domandarsi dov’è che l’ingranaggio s’inceppa sarebbe auspicabile.

 

Francoforte buchmesse

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Luca Manduca
È nato a Catania nel 1974. Maestro d'arte e grafico pubblicitario, laureato in giurisprudenza, tutor di diritto e economia, conciliatore. Attualmente vive a Milano, collabora col Centro Studi Berlin89 e scrive per la testata giornalistica Berlin'89.
Autore del libro "Una sana ossessione - Tra gli eroi, i luoghi e gli incanti di Chiamami col tuo nome - (Cavinato Editore)
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