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Con più di 92 milioni di persone contagiate e 2 milioni di morti per Covid nel mondo, ancora non si conosce con certezza l’origine del virus che sta provocando questo disastro globale. Pertanto i dubbi sulla efficienza dei vaccini sono più che leciti.

vaccini 7C’è consenso scientifico sul fatto che il Sars-CoV-2 sia derivato da un virus dei pipistrelli, ma più di un anno dopo che è stato identificato non c’è una ricerca internazionale indipendente da interessi costituiti che possa darci informazioni certe sulla vera origine di questo virus.

Il 14 gennaio 2021, il New York Magazine ha pubblicato i risultati di un’ampia ricerca di Nicholson Baker sulle attività di governi e scienziati degli Stati Uniti e della Cina, che fornisce dati fondamentali per conoscere le ipotesi sulla questione («The lab-leak hypothesis»).

L’autore riassume le sue conclusioni nel modo seguente: «Sono arrivato a credere che ciò che è accaduto sia abbastanza semplice. È stato un incidente. Un virus è stato per un po’ di tempo in un laboratorio e alla fine è uscito. Il Sars-CoV-2, il virus che causa la Covid-19, ha cominciato la sua esistenza dentro a un pipistrello, poi ha imparato ad infettare le persone nel chiuso di una miniera, e poi è diventato più contagioso in uno o più laboratori, forse nel contesto di un tentativo ben intenzionato ma rischioso di scienziati che cercavano di creare un vaccino ad ampio spettro. Il Sars-Cov-2 non è stato progettato come un’arma biologica. Ma io credo che sia stato progettato, questo sì».

È la stessa ipotesi avanzata da Luc Montaigner, francese e premio Nobel per la medicina, secondo cui «la Covid-19 è stata il risultato del lavoro di ricercatori che cercavano un vaccino contro l’Aids» («El virólogo que ganó el premio Nobel por descubrir el VIH aseguró que el nuevo coronavirus fue creado en un laboratorio») [«Il virologo che ha ricevuto il premio Noel per la medicina per la scoperta dell’HIV ha detto che il nuovo coronavirus è stato creato in un laboratorio»].

Baker spiega, sulla base di abbondanti fonti scientifiche, che non ci sono evidenze definitive che sia stato manipolato, ma che non ce ne sono nemmeno per affermare che sia solamente zoonotico.

L’ipotesi che il virus sia stato progettato per ottenere un alto livello di contagiosità negli esseri umani e che si sia verificata una fuoriuscita accidentale, è un argomento di cui gli scienziati coinvolti negli Stati Uniti e in Cina non vogliono nemmeno sentir parlare.
Tuttavia, conoscendo le circostanze, l’ipotesi della fuoriuscita è molto plausibile e dovrebbe essere seriamente studiata.

Fra coloro che affermano che non è necessario indagare sulla questione ci sono personaggi come Anthony Fauci, direttore di uno degli Istituti Sanitari Nazionali (INS) degli Stati Uniti, e Peter Daszak, della EcoHealth Alliance, che sono stati coinvolti per vari anni nella ricerca del laboratorio di Shi Zhengli nell’Istituto di Virologia di Wuhan, Cina, nell’ambito di un progetto finanziato dall’INS per accrescere la contagiosità per gli esseri umani di un virus della SARS che à l’antecedente più vicino che si conosca al Sars-CoV-2 (si veda Daszak P., «Understanding the Risk of Bat Coronavirus Emergence»).

La logica di questo tipo di ricerca, spiega Baker, affonda le sue radici nei programmi del governo degli Stati Uniti, specialmente dopo l’11 settembre. A breve distanza di tempo da quella data ci sono stati diversi casi di lettere in cui era stata collocata una polvere che conteneva antrace. Gli attentati sono stati alla base di un’enorme espansione della ricerca sulle armi biologiche e sulla biodifesa, con la motivazione di essere pronti con un vaccino o con altri mezzi per prevenire attacchi dall’esterno. In seguito si è scoperto che le lettere erano state inviate da un cittadino statunitense, uno dei loro stessi ricercatori in materia di armi biologiche, che voleva che il governo comprasse il suo vaccino contro l’antrace.

Nel 2003 il Congresso ha approvato il programma BioShield per la biodifesa, che nell’amministrazione Obama è continuato con il nome di Predict. Fin dall’inizio, prima con Bush, poi con Obama e infine con Trump, Anthony Fauci ha ricoperto posizioni di primo piano nel settore. Durante la pandemia è stato la figura ufficiale di riferimento. A partire dal 2003, Fauci ha diretto programmi di biodifesa in cui si manipolavano virus (anche prelevati in Cina) e ha difeso quei programmi di fronte alla protesta di centinaia di scienziati che sostenevano che quei fondi dovevano essere impiegati per malattie che colpivano molto di più la popolazione del paese.

C’è solo una demarcazione virtuale tra la ricerca per la biodifesa e la produzione di armi biologiche. Per sviluppare gli antidoti si comincia con lo sviluppare il virus o altri agenti infettivi. Da più di un decennio, si sono utilizzati virus della SARS e della MERS (altri coronavirus), ricombinandoli in laboratorio, spesso con sistemi di intelligenza artificiale, per produrre una maggiore infettività nell’uomo, al fine di vedere fino a che punto potrebbero arrivare. Questo si chiama gain-of-function [letteralmente ‘guadagno di funzione’; si tratta di una mutazione che potenzia la funzione di una proteina o gliene conferisce una nuova – ndt]. Nel 2012 la ricercatrice Lynn Klotz ha segnalato, nel Bulletin for Atomic Scientists, che una pandemia provocata da esseri umani avrebbe potuto verificarsi entro un massimo di 12 anni con l’80% delle probabilità. Nel corso di quell’anno, alcuni esperimenti che venivano effettuati per ottenere che l’influenza aviaria infettasse dei furetti (che in precedenza non erano suscettibili alla malattia) ha suscitato l’indignazione di un gran numero di scienziati, e nel 2014 sono stati sospesi i programmi destinati a quel tipo di ricerca.

Questo ha fatto sì che alcuni di coloro che erano coinvolti in quel genere di ricerca, come Ralph Baric e Peter Daszak, si affrettassero ad attivare più collaborazione con laboratori di altri paesi, dal momento che non potevano proseguire negli Stati Uniti. Da allora l’organizzazione EcoHealth Alliance, presieduta da Daszak, ha convogliato fondi del governo statunitense a vari laboratori, fra cui quello di Wuhan.

Gli Stati Uniti sono il paese che ha investito più fondi e risorse nella ricerca sulle armi biologiche, sempre nel capitolo della biodifesa. Tale ricerca include la manipolazione genetica – o con altri mezzi – di virus e batteri per renderli più infettivi per gli esseri umani, presumibilmente alla ricerca di vaccini o antidoti contro di loro. Il laboratorio di Ralph Baric, uno dei ricercatori più attivi in ​​questo settore, per il quale riceve finanziamenti governativi da due decenni, è chiamato dai suoi colleghi il selvaggio West. Molti dei suoi esperimenti con i virus dell’influenza aviaria e della SARS sono stati rivolti ad aumentare la loro infettività negli esseri umani attraverso le vie respiratorie. È uno dei motivi che hanno motivato le proteste di centinaia di scienziati, il che nel 2014 ha portato alla sospensione dei fondi per questo tipo di ricerca (si veda l’articolo di N. Baker, The Lab-Leak Hypothesis, 4 gennaio 2021).

Baric si è poi concentrato sulla collaborazione con la dr. Shi Zhengli dell’Istituto di virologia di Wuhan, in Cina, per progetti cofinanziati dal National Institutes of Health e dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), tra gli altri, per aumentare l’infettività di virus di pipistrelli nel tratto respiratorio umano. Fra questi, anche di un coronavirus (RaTG13 o BTCoV-4991) considerato l’antenato geneticamente noto più vicino al SARS-2 che ha causato la pandemia di Covid-19.

I fondi sono stati convogliati a Wuhan attraverso l’ONG EcoHealth Alliance, con sede negli Stati Uniti e presieduta da Peter Daszak, uno zoologo che ha trasformato quella che chiama la lotta contro i virus in una guerra quasi religiosa. Come Baric, si è associato alla ricerca del laboratorio di Wuhan rivolta ad ottimizzare l’infettività dei virus della SARS.

La dottoressa Shi Zhengli è un’esperta di virus di pipistrelli riconosciuta a livello internazionale. Il suo laboratorio è l’unico in Cina ad avere una classificazione di livello di biosicurezza 4, la più alta. Ecco perché questo tipo di esperimenti ad alto rischio vengono eseguiti lì. È dotato di questa classificazione dal 2018, ma il virus RaTG13 è stato raccolto nel 2012 e nel 2013, in una miniera nella provincia dello Yunnan e in un ospedale dove i minatori colpiti hanno sofferto – e alcuni sono morti – di una malattia che oggi potrebbe essere vista come Covid- 19 (si veda il mio articolo: “Covid-19 ¿escape de laboratorio?”, 21 luglio 2020).

Baker si domanda: quante probabilità ci sono che l’inizio della pandemia sia stato identificato nella città che ha l’unico laboratorio di biosicurezza 4 in Cina, dove Stati Uniti e Cina stavano conducendo esperimenti con il virus conosciuto più vicino al SARS-2, e che non ci sia un collegamento fra le due cose? (“The Lab-Leak Hypothesis).

Quando diversi scienziati, uomini e donne, hanno iniziato a fare domande su questa possibilità, hanno incontrato un muro di silenzio a più livelli.
Uno del governo cinese, che ha interrotto e secretato qualsiasi indagine al riguardo.
Un altro di una ventina di scienziati che già nel febbraio 2020, prima che iniziasse qualsiasi indagine, ha pubblicato una dichiarazione sulla rivista The Lancet, affermando che l’origine del virus era naturale e che la possibilità di una manipolazione di laboratorio doveva essere esclusa.

Successivamente, l’organizzazione statunitense Right To Know ha rivelato (analizzando le e-mail ottenute tramite l’accesso a informazioni pubbliche) che questa dichiarazione è stata scritta e orchestrata da Peter Daszak, attore chiave nel progetto di manipolazione del SARS-2 (“EcoHealth Alliance orchestrated key scientists’ statement on ‘natural origin’ of SARS-CoV-2”) .Quando, più tardi nel 2020, il finanziamento di questo progetto a Wuhan è stato sospeso per un breve periodo, Daszak ha presentato l’evento ai media come un attacco alla scienza, cosa facile da credere nel clima dell’amministrazione Trump. Daszak non ha mai chiarito che centinaia di scienziati seri e responsabili nel suo paese chiedevano già da molto tempo di porre fine a questo tipo di ricerca.

A partire da molte domande senza risposta, alla fine del 2020, l’OMS e The Lancet – separatamente – hanno costituito commissioni di inchiesta sull’origine del virus, cosa che appare come un’iniziativa sensata. Purtroppo, Peter Daszak è riuscito a far parte di entrambe le commissioni e anche a presiedere quella di The Lancet, il che è folle, dato che Daszak è uno degli attori principali che devono essere indagati.

Che si sia trattato o meno di una fuga da un laboratorio, è chiaro che i rischi di questo tipo di ricerca sono inaccettabili, non sono in nessun caso giustificati e devono essere banditi in tutto il mondo. Gli incidenti in laboratori ad alto livello di biosicurezza si verificano molto più spesso di quanto immaginiamo.
Da un morso di topo alla puntura accidentale di una siringa o al numero di ricercatori che hanno accesso ma non hanno una formazione sufficiente, i rischi sono molteplici (si veda ad esempio l’articolo di J. Latham: “Engineered COVID-19-Infected Mouse Bites Researcher Amid ‘Explosion’ Of Risky Coronavirus Research”).

Altre ipotesi che ricollegano l’origine e la diffusione del SARS-2 (e di altre malattie zoonotiche e pandemiche, come l’influenza aviaria e suina) alle interazioni del sistema alimentare e agropecuario industriale, alla distruzione della biodiversità, all’aumento dei trasporti a causa dei trattati di libero scambio, ai sistemi sanitari carenti e alla mancanza di accesso all’acqua e al cibo sano, non sono in contrapposizione. Sono complementari e comunque amplificano gli impatti. Nonostante enormi investimenti pubblici in rischiose avventure delle multinazionali, come i vaccini geneticamente modificati, le cause della pandemia rimangono ignote, preparando l’insorgere delle prossime.


Fonte: “Los oscuros orígenes del virus –  Traduzione  di Camminardomandando 

silvia ribeiroSilvia Ribeiro, giornalista e direttrice per l’América Latina dell’Etc Group, una equipe di ricercatori indipendenti che monitora da 25 anni l’impatto delle tecnologie emergenti e delle strategie delle corporation sulla biodiversità, l’agricoltura e i diritti umani.

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