Costerà cara a Genova e a Trieste la Via della Seta
Trieste, ma anche Genova, hanno abbracciato entusiaste l’espansione portuale in collaborazione col colosso cinese China Communications Construction Co. (CCCC), parte degli accordi fra Italia e Cina di questi giorni. Ma ecco i rischi di cui pochissimo si parla,
Il tutto significa, fra l’altro, un enorme volume di navi cargo in progressivo aumento nei due porti. Ecco i rischi di cui pochissimo si parla, meno che meno da parte del governo. Qui riassunti, poi l’approfondimento:
1) Trieste e (nelle foto) Genova possono trasformarsi in cloache d’inquinanti cinesi, avvelenando i cittadini e costringendo le amministrazioni a costi per danni di centinaia di milioni. Il governo ci ha pensato?
2) Gli investitori cinesi sono spietati, un solo sciopero di lavoratori portuali italiani, una sola vertenza ambientale italiana, e ci possono far causa per milioni o anche miliardi. Il motivo è qui sotto.
3) L’Italia dal 1985 ha firmato un trattato bilaterale (BIT) con la Cina, ancora valido, dove l’Italia s’impegna a rispettare la micidiale Risoluzione delle Dispute tra Investitore e Stato (ISDS), dove qualsiasi investitore cinese può far causa all’Italia se ritiene che le sue leggi gli danneggino il business. I termini dei processi sono scandalosamente sbilanciati verso le mega aziende. Poi c’è l’insidia degli eventuali lavoratori a contratto…
4) Su Trieste incombe la figura del Presidente dell’Autorità Portuale, Zeno D’Agostino, che sta esultando per gli accordi con la CCCC cinese. Assieme a lui esultano il suo omologo di Genova Signorini e il sottosegretario Geraci. Ma alla stampa italiana dicono una cosa, mentre a quella straniera ne dicono ben altra...
5) Tutti oggi sanno cosa sia la Nuova Via della Seta. Ma vi hanno mai parlato di… quell’altra Via, e sempre cinese? Il rischio è che Genova e Trieste s’ingolfino di mega strutture portuali, spendano (o s’indebitino di) centinaia di milioni, poi fra pochi anni i cinesi annunciano che hanno trovato vie più economiche per le loro merci, e Genova e Trieste rimangono ipertrofizzati mostri di ferro ad arrugginire con il traffico in calo, crolli economici, più i veleni di cui al punto uno.
Trieste-Genova: l’ambiente
Cosa vi dice, genovesi e triestini, il fatto che i 4 porti più inquinanti al mondo sono ad alta intensità di navi cargo cinesi? Sono in ordine: Singapore, Hong Kong, Tianjin e Port Klang. E’ un caso che nessuno di essi sia in USA o in Europa?
I porti commerciali ‘vomitano’ oltre 20 milioni di tonnellate di CO2, Ossidi di Azoto, Ossidi di Zolfo, Diossido di Azoto, Metano, e del micidiale PM10 materiale particolato, all’anno.
E’ noto che i cargo di containers sputano veleni anche se fermi in porto, e si calcola che queste emissioni terribilmente nocive per gli abitanti delle città portuali si quadruplicheranno entro il 2050 (dati UNCTAD-OCSE, 2015). Chiedo: nel Memorandum Italia-Cina, il governo ha messo regole ferree sulla compatibilità ambientale delle navi cinesi che da ora invaderanno i due porti italiani, oppure se la sorbiranno i vostri polmoni, genovesi e triestini?
E poi. Sapete voi quanto già oggi costano queste emissioni in danni collaterali – che ripeto: si gonfieranno con l’entusiastica adesione di Genova e Trieste alla Via della Seta – alle cittadinanze dei 50 maggiori porti dell’OCSE? Gli costano oltre 12 miliardi di euro all’anno, tutte tasse per i residenti. E questo, attenti, è già oggi, quindi non oso immaginare i costi in danni collaterali della sognata mega espansione di traffico cargo a Genova e Trieste.
Bè, si sappia che nel porto greco del Pireo, ingigantito e gestito dal colosso cinese COSCO, quest’ultimo è stato costretto da scioperi disperati dei lavoratori portuali a garantirgli almeno il triste titolo di “lavoratori di mansioni usuranti e insalubri”, ed è questa la realtà dei veleni che queste mega navi sputano addosso a chiunque gli viva vicino. Allora: nel Memorandum Italia-Cina, il governo ha studiato queste pessime ‘esternalità’ e chi pagherà per esse (noi in tasse?), o saranno cavoli vostri, triestini e genovesi?
Trieste-Genova: cosa significa essere operaio coi cinesi
Per quanto sappiamo (poco ci è davvero stato detto) del Memorandum Italia-Cina, a Genova e Trieste si parla più di un aumento di traffico di cargo che di partecipazioni societarie cinesi. Innanzi tutto non è affatto chiaro chi pagherà per gli enormi ampliamenti strutturali dei due porti che saranno necessari. La Cina? Pechino ci presterà milioni a patto che gli appalti vadano alle sue aziende? O ci presterà soldi e basta? O ce li metteremo noi? C’è caos su questi punti.
Ma ecco, giusto perché prevenire è meglio che curare, un paio di autorevoli note su cosa significa mettere lavoratori sotto il controllo di colossi cinesi, fatto che quasi certamente accadrà a Genova e Trieste, se veramente questi progetti decolleranno. Nota: oggi qui da noi negano categoricamente, ma coi cinesi non può che finire così, perché così finisce ovunque investono al mondo.
Il Global Human Rights Lawyers – Ius Laboris, che sono alti esperti internazionali di diritti sul lavoro, scrivono quest’anno che “Per gli Stati Uniti le scelte sono chiare in tema di Via della Seta: o si chiudono a riccio sul mercato interno con alto protezionismo, oppure accettano di abbassare il costo del lavoro e le protezioni sindacali dei propri lavoratori per competere coi cinesi”. Chiaro il concetto? E parlano esperti della maggiore potenza mondiale, non del minimo PIL italiano. Ma peggio, perché già Washington ha assaggiato ad alti costi cosa significhi aprire ai colossi cinesi.
Saipan è territorio off-shore degli Stati Uniti, ma è America a tutti gli effetti, leggi incluse. Pochi anni fa gli americani concessero appalti a tre mega aziende cinesi per la costruzione di un enorme sito turistico con Casinò. Ecco cosa successe: il 91% dei posti di lavoro fu importato dalla Cina, solo una minoranza di residenti fu assunto. Dopo le scadenze dei visti, i cinesi piuttosto che pagare di più per impiegare operai americani locali truffarono le autorità USA importando lavoratori cinesi illegali con finti visti turistici. Li facevano lavorare 13 ore al giorno, spesso non pagati, e se pagati le tariffe erano altamente illegali per un territorio americano. La sicurezza sul lavoro fu definita “atroce”, montagne di feriti e persino morti, come denunciato da Aaron Halegue della New York University Law School. Washington dovette intervenire, e fu una strage di cause e litigi, con una ridda di manager cinesi in galera. Poi c’è l’esperienza dei greci al porto del Pireo.
Al Pireo il colosso cinese COSCO ha fatto l’identica cosa, ma peggio: s’inventarono un sindacato cinese fittizio che sorvegliava su diritti fittizi, e pretesero la quasi totale esclusione del sindacato portuale ellenico. Quest’ultimo lanciò una serie di scioperi col rimenante personale greco, ma ottennero questo: molti lavoratori cinesi importati furono in effetti rispediti in Cina, ma al loro posto non furono assunti i portuali greci, bensì operai a contratto dall’Est Europa. Atene è rimasta a secco. E peggio.
Nel 2014 i portuali greci organizzarono uno sciopero in particolare per denunciare l’alto tasso d’infortuni sul lavoro sotto il management di COSCO. Il Premier Samaras gli mandò immediatamente la polizia in assetto anti sommossa, e perché? Perché all’istante l’ambasciata cinese ad Atene aveva chiamato il governo minacciando ritorsioni milionarie per danni al loro business secondo il sopraccitato infame sistema ISDS.
Conclusione: poiché è certo che imponenti espansioni di Trieste e Genova a partecipazione CCCC finiranno col coinvolgimento di sempre più manodopera cinese, il governo ha pensato a come affronterà il ricatto della CCCC “Siamo a tre quarti delle opere, ma ora i costi richiedono i nostri operai dalla Cina. Spiacenti...”? Con ciò che ne consegue a livello dell’impiego italiano e dei diritti? Voi pubblico credete davvero che l’Italietta avrebbe il potere di fuoco a quel punto per spuntarla su un colosso da 14.000 miliardi di dollari? (fonte: Yu Zheng, Senior Lecturer in Asian Business alla the School of Management, University of London)
Trieste-Genova: cosa raccontano D’Agostino, Geraci e Signorini (o Conte)?
Zeno D’Agostino è presidente dall’Autorità Portuale di Trieste. E’ un dichiarato entusiasta sostenitore dell’arrivo dei cinesi in città. Solo che mentre sulla stampa nazionale rilascia dichiarazioni Politically Correct totalmente in linea con gli orientamenti della UE in fatto di relazioni con la Cina, altrove sto signore suona in ben altra maniera. Al Sole 24 Ore ha dichiarato: “Noi chiediamo alla cinese CCCC di dire cosa eventualmente vuole fare, dove vuole investire e di presentare un project financing che segua tutte le indicazioni delle normative UE”. Ok? Infatti il quotidiano specifica che Trieste partecipa a un progetto europeo chiamato Trihub da 200 milioni dove ovviamente si specificano ogni sorta di tutela ambientale, sindacale e finanziaria.
Poi però D’Agostino ‘esplode’ online su Bloomberg con la seguente sguaiata dichiarazione: “Trieste deve diventare Singapore! Hong Kong!”, ignorando quanto vi ho detto sopra, e cioè che sono i due porti più inquinati del mondo proprio per il traffico dei cargo, alla faccia dei triestini. Fra l’altro il cronista americano gli ricorda che sta delirando, visto che le vette in traffico commerciale dei due porti citati sono letteralmente sulla Luna per Trieste, che scompare persino di fronte al Pireo che gestisce 5 milioni di cargo contro i 700.000 della nostra bella città. Non solo.
Prendiamo altri due protagonisti del Memorandum con la Cina: il sottosegretario Michele Geraci e il Presidente dell’Autorità Portuale di Genova, Signorini, poi anche Conte. Ecco riassunto il balletto di ‘detti e contraddetti’ in cui si sono imbarcati, con particolare riferimento a dichiarazioni poi smentite, poi ridette, su quanto davvero la Cina comprerà nei due porti.
D’Agostino: “Non si parla affatto di acquisizioni o investimenti cinesi a Trieste. Solo di aumento di traffico da cargo cinesi”. (su quasi tutta la stampa italiana)
D’Agostino all’estero: “”. (sul The Pacific Tycoon)
Conte: “Permettere alle compagnie statali cinesi di gestire o di comprare quote nei porti italiani è la chiave per espandere il nostro export”. (Asia Times)
Signorini: “Stiamo lavorando per creare un’azienda in partenariato con la CCCC cinese, che ci aiuterà negli appalti per massicci lavori al porto di Genova”. (Asia Times)
Geraci in Italia: “Macché pericoli strategici. Sono anni che scrivo che le tendenze predatorie (cinesi, nda) vanno fermate”. (La Stampa)
Geraci all’estero: “Il porto di Trieste? Ma va aperto agli investimenti cinesi!”. Poi: “La Cina ha bisogno di migliorarsi l’immagine, l’Italia ha bisogno di capitali cinesi (che notoriamente non sono predatori, nooo, nda)”. (Caixin, che è la Bloomberg cinese)
Ancora D’Agostino: “I cinesi sono solo interessati nel traffico dei container…” poi poco dopo specifica che “Il gigante statale China Merchants sta parlando coi noi per metter su una joint venture per la costruzione di un nuovo terminal a Trieste (ma non erano lì solo per il traffico navi? nda)”. (South China Morning Post).
Il gran finale è sempre suo su Bloomberg: D’Agostino mica davvero punta ai 200 milioni regolamentati dalla UE, ma a qualcosa come 1 miliardo di euro in investimenti, senza spiegare poi chi li mette e a quali condizioni. E, alla faccia delle pluri-denunciate evidenze disastrose del vero volto della Cina ovunque ha portato la Via della Seta, D’Agostino sulla stampa straniera incalza che “La gente parla di geopolitica, ma per me sono solo affari… Io voglio traffico!”. (Nda. Per i giovani: laurearsi in Medicina, specializzarsi in pneumologia, e far domanda a Trieste). Auguri.
Trieste-Genova: di colossale c’è anche la fregatura finale, che già s’intravvede
L’economia cinese ha una potenza di fuoco da circa 14.000 miliardi di dollari. Quella italiana è circa 1.900 miliardi di dollari, 7 volte di meno. Dove voglio arrivare? Qui: per i cinesi investire in Italia per far profitti per 10 annetti e poi tirarsi indietro e lasciaci lì ad arrugginirci sulle banchine di Genova e Trieste, una volta spremuto il Bel Paese, è un rischio da spiccioli del caffè. Per noi se accade è un disastro. Ma attenti, le chance che questo accada si stanno materializzando già oggi. Perché tutti vi parlano della Via della Seta (marittima in questo caso) ma Pechino sta lavorando freneticamente alla “Via Polare della Seta”, mai sentita? E non solo a quella.
Questa storia è perversa perché parte da un disastro planetario, il Cambiamento Climatico. I ghiacci del Polo Nord si stanno sciogliendo a un ritmo mostruoso, perché le temperature lassù si sono alzate tre volte più che nel resto del globo, con estati polari a 30 gradi (sic), come nell’Adriatico. E allora da molto tempo i cinesi, ma anche i giganti occidentali dei cargo come la Maersk, stanno investendo come pazzi sulle rotte marittime della Via Polare della Seta.
Oggi i cargo sia cinesi che internazionali fanno la rotta del sud, cioè Cina – Malesia - sotto l’India – Golfo di Aden – Suez e Mediterraneo. Quindi ecco l’interesse per Genova e Triste. Questo tragitto è di 13.000 miglia marittime. Ma se le navi partono dalla Cina verso il nord, e fanno Siberia, costeggiano la Russia, scavalcano la Norvegia e arrivano a Rotterdam, le miglia diventano 8.000 e tagliano i tempi di due settimane. I risparmi sono colossali.
Ad oggi questa rotta è minima confronto a quella classica, ma la Copenhagen Business School ha calcolato che dati gli sforzi sia russi che cinesi, essa diventerà massiccia in meno di 20 anni, e già oggi è percorribile anche d'inverno. Poi c’è un altro motivo per cui Pechino investirà sempre più nella Via Polare della Seta: il fatto che la rotta tradizionale a sud costringe i cinesi a passare per infinite ‘gogne’ imposte dal dominio americano di ogni miglio di quella tratta, un fatto che strategicamente è intollerabile per la Cina.
Poi, a peggiorare le prospettive di Genova e Trieste, c’è la rotta ferroviaria, sempre per le merci cinesi.
Essa attraversa tutta l’Asia Centrale, Turchia, Balcani, Grecia, e arriva in Europa occidentale. Anche su questa rotta il Presidente Xi Jinping sta investendo cifre e soprattutto tecnologie forsennate, perché per questa via le merci arrivano da noi in meno di 14 giorni, un record. Le nuove tratte ad alta velocità ridurranno i tempi ad addirittura 10 giorni, imbattibili da qualsiasi rotta marittima, portando i costi ferroviari – oggi superiori a quelli marittimi – dentro i limiti della convenienza. E allora diventa fin banale arrivarci:
Noi italiani adesso partiremo come pazzi e ingigantire Genova e Trieste, con investimenti mega che ancora nessuno sa da chi veramente saranno pagati. Stiamo facendo una scommessa senza precedenti, con pericoli ambientali e lavorativi alti o altissimi. Ma qualcuno intorno a Di Maio e Geraci sta pensando a cosa succede se fra 10 anni la Cina di colpo assottiglia il “traffico!” mediterraneo e se ne va sulla rotta del Polo e sui treni mangiandoci un 4%, o 18% o 30% del traffico? L’impatto di un calo del 4%, o del 18% o del 30% di navi a Genova e Trieste nel, per ipotesi, 2030, avete un’idea di che razza di voragine significherà per le due città e per l’Italia che hanno investito e/o si sono indebitate?
Concludo. Se si è seri in politica, ecco le domande cruciali:
Quale gruppo di esperti a livello mondiale in tutte le discipline coinvolte è stato approntato da sto governo per studiare questi gravi o gravissimi problemi PRIMA di firmare dei Memorandum? Quali strategisti geopolitici sono stati al lavoro nell’ufficio di Geraci, che non ha nessuna qualifica geopolitica ed è solo un prof.? Quali International Consultancies e Think Tanks specialiste sui commerci navali hanno lavorato per Palazzo Chigi prima della visita di XI?
Bella roba ritrovarci con Trieste e Genova fra pochi anni trasformate in ipertrofie di cemento e acciaio, inquinate come fogne, con disoccupazione, e ad arrugginirsi al sole. Debiti, buchi di bilancio, titoli da ripagare… Non sarebbe il primo, né l’ultimo, dei soliti dilettanteschi “Italian Jobs”.
Come dice il Marco Travaglio, i giornalisti fanno domande. Purtroppo gli elettori italiani fanno il tifo, e pensano una volta al decennio.
L'opinione dell'autore non sempre coincide con quella della redazione
Fonte: Paolo Barnard