Volkswagen, dal dieselgate all'auto che si parcheggia da sola

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Dopo l’ultimo scandalo, con l'accusa di inquinare l'aria che risale al 18 settembre 2015 negli USA, ci si aspettava il fallimento dell'azienda che invece è riuscita a ripartire alla grande. Vediamo come.

VW Hitler presentazione

 

Nella campagna del 1933 Hitler usò per le sue locandine elettorali il Marienkäfer (“Maggiolino”) come simbolo e promessa di un radioso futuro per i tedeschi - ben oltre: “Lavoro e pane” - se l’avessero votato. Un impegno preso anche con una fabbrica d’automobili ancora senza domicilio né nome, che poteva conquistare il mondo sostenendo il Führer. Fabbrica che aprì col nome di (Auto del popolo) nel 1937, ma senza un modello da vendere e con la guerra alle porte.

C’erano solo i disegni di tre prototipi, tra essi quel Marienkäfer garantito nelle locandine elettorali, che trovò produzione dal dopoguerra, con un successo planetario divenendo da prodotto di un’industria nata con Hitler (simbolo di orrore e distruzione) a sinonimo stesso della ripresa tedesca.

 

a vw2Volkswagen è un colosso ormai oltre il bene e il male, consolidatosi tra rispetto e rancore dell’opinione pubblica, come un culto secolare: summa di contraddizioni, ma con tanti fan e sempre in auge. Fotoreportage © Kai-Uwe Knoth

Quei prototipi erano di un certo Ferdinand Porsche, a capo di uno studio ingegneristico, che aveva un ordine ben preciso: costruire un’auto compatta, economica, semplice e robusta, facile da montare in serie e accessibile ai più.

Oggi, ottantadue anni dopo, i principi alla base di Volkswagen  sono gli stessi. Durante la nostra visita  alla Gläserne Manufaktur a Dresda (in Italia è nota come la Fabbrica Trasparente) abbiamo rivisto in bella mostra quel Maggiolino manifesto funzionale appaiato al modello avveniristico I.D. Volkswagen tutto a led, connesso e elettrico con la solita ambizione: diventare icona e segnare un’epoca.

Volkswagen è un colosso ormai oltre il bene e il male, consolidatosi tra rispetto e rancore dell’opinione pubblica, come un culto secolare: summa di contraddizioni, ma con tanti fan e sempre in auge. Nascere come Volkswagen da un’aberrazione politica forse ha donato qualche anticorpo in più. Pensarlo è lecito, anche chiedersi come sia stato possibile che dai momenti più gravi, dalle vere catastrofi, quest’azienda ne sia uscita, se non indenne e del tutto in salute, sempre in piedi e pronta a ripartire.

L’ultimo scandalo risale al 18 settembre 2015 negli USA, un vero e proprio terremoto per l’agenzia statunitense EPA (Enviromental Protection Agency), che emise un avviso di violazione delle norme, sulla qualità dell’aria a carico del gruppo. C’era un defeat device che al controllo delle emissioni alterava le stesse per difetto in alcuni modelli diesel. Certo, uno scandalo ambientale scoperto negli Stati Uniti suona come uno in Giappone su metodi di pesca non conformi o illegali.

In più il sospetto di uno scossone ben calibrato, per proteggere il mercato da concorrenza estera non vale da consolazione. Il dieselgate è costato al gruppo un gravissimo danno d’immagine nel mondo (in patria ancor di più) e in concreto ventiquattro miliardi (800milioni alla sola AUDI). Con tali news ci si aspettava il fallimento; il licenziamento in tronco di migliaia; la chiusura in pochi anni di chissà quante fabbriche tra le 122 del gruppo su cinque continenti. Perché è così che a certi livelli si agisce.

Non la Volkswagen stavolta, che anzi ha avuto bisogno di forza lavoro più che mai per una scelta strategica che ha trasformato la caduta libera in un’acrobazia. La legge dantesca del contrappasso pare essersi inverata, divenendo la via maestra scelta. Se col contrappasso i rei pagavano col contrario della colpa commessa, Volkswagen in analogia al misfatto è diventata paladina dell’ambiente.

avw3È per questo motivo, che la redazione di Berlin89 ha scelto tra le sue fabbriche proprio la Gläserne Manufaktur, giacché tutto è partito da lì, con un esperimento consolidatosi in prassi e in cima alla lista dei luoghi di assemblaggio d’auto elettriche, per la futura stagione della Elektromobilität a marchio tedesco. Già iniziata con un certo successo per i modelli dell’utilitaria e-Golf, altra icona storica, dove quella “e” sta per “elettrica”. La fabbrica trasparente di Dresda produceva il Phaeton, la berlina di lusso (nella ex DDR) e modello di punta della casa automobilistica tra il 2001 e il 2016.

Costruita sulla base della A8 di Audi da cui differiva condividendo molto di più con la Bentley Continental GT, prodotta dalla stessa Volkswagen in Inghilterra. Il 18 marzo 2016 è stato prodotto l’ultimo esemplare di Phaeton (nr.84325) e la fabbrica a seguito del dieselgate è stata riconvertita a nome e gloria di e-Golf nel Center For Future Mobility. Un’operazione costata venti milioni di euro e nessun licenziamento. Dei cinquecento operai che lavoravano al Phaeton, nella Gläserne Manufaktur oggi ne sono rimasti cento. Tutti gli altri sono stati reimpiegati nelle varie fabbriche.

Il Center for Future Mobility è un luogo unico. L’intento è proprio quello di tenere in piedi due sistemi differenti ma simultanei: intrattenimento e luogo di produzione. Perché unisce la fabbrica di auto in piena funzione, col museo delle nuove tecnologie Volkswagen con centinaia di visitatori. Ci si diverte con la realtà aumentata, i simulatori di guida e con tanti prototipi in via di sviluppo, mentre i tecnici a pochi passi corrono, provano, correggono, aggiustano e montano.

avw4Qui giornalmente vengono cinquecento visitatori paganti un biglietto di sette euro, per un tour di settantacinque minuti, in nove lingue. La visita inizia all’esterno della fabbrica, presso la Stromtankstelle (“pompa elettrica”), dove Volkswagen ha messo a disposizione cinque posti auto e bocchettoni universali, per erogare elettricità a chi va a ricaricare la macchina (di qualunque marca). Un pieno costa circa venti euro, che l’azienda offre. Con energia pulita creata dalla stessa fabbrica: grandi pannelli solari, infatti, producono l’energia necessaria per tenere gli erogatori in funzione e se il carico prodotto non è smaltito, rientra nel plesso utile al montaggio come al museo. I visitatori sono costantemente coinvolti giungendo fino ai carrelli con gli operai a lavoro.

Non ci sono vetrate che separano gli ambiti a un certo punto. Chi visita, giunge quasi a contatto, perché del tour fa parte vedere all’opera i 60.000 magneti pavimentali che muovono i vagoni e i porta attrezzi attraverso sistemi a incrocio di fasci luminosi, come gli aerei sulle piste di atterraggio. Se sei un acquirente, puoi montare alcuni pezzi della tua nuova auto in ben quattro punti prestabiliti. Mentre i tecnici t’illustrano il funzionamento della batteria, che in base al prezzo garantisce maggiore durata della carica, con box da sette, nove o dodici celle.

L’eGolf - per il modello base - ha un’autonomia bassa, di soli 330 Km e i visitatori devono vivere la strategia di fascinazione e un’istruzione per diventare veri ambasciatori Volkswagen; pronti a consigliare a loro volta, a convincere amici e cari che è ora di passare dalla parte dell’ambiente. L’acquirente interessato alla sua prima visita è accompagnato all’ultimo piano della fabbrica (nella torre) dove si trova una lounge aperta a vetrate su un parco, appositamente arredata e confortevole, con iPad a disposizione.

Attraverso la realtà aumentata, un caffè e una fetta di torta il futuro acquirente può così configurare un suo profilo con il modello e gli accessori desiderati, vedendo la propria auto come sarà, dal colore della carrozzeria agli interni e guidandola pure in una simulazione olografica. Bisogna attendere sei mesi per la consegna, che avviene attraverso un’Inszenierung der Fahrzeugübergabe (“messa in scena della consegna del mezzo”) tra pareti mobili, musica e effetti laser. Quella che in sintesi era la cerimonia di consegna di un’auto di lusso e scattante, il Phaeton appunto, adesso è per un’utilitaria elettrica.

I compromessi da fare non sono pochi, vista l’autonomia, tocca ora alla velocità. Se quella era già un’ebbrezza a pagamento, con le auto elettriche resta un sogno in una lenta evoluzione. Tutto questo percorso serve dunque a saldarti proprio nel convincimento, che sei un pioniere, che stai facendo la cosa più giusta per l’ambiente; una mosca bianca, ma con la coscienza altrettanto linda. Volkswagen lo sa, tutto dipende dalla velocità del cambiamento, per la scommessa fatta.

vwDa prodotto di un’industria nata con Hitler (simbolo di orrore e distruzione) a sinonimo stesso della ripresa tedesca

Bond per miliardi in circolazione a scadenze anche trimestrali, l’hanno tirata su per riprendere il bandolo della matassa, laddove si era reciso con Dieselgate, ma tutto potrà funzionare solo se si vende. Sono gli acquirenti, loro devono arrivare e convincersi, così più cornice e più effetti ci sono e meglio è per tutti. La tecnologia bypassa i limiti in nome dalla passione per l’auto. Che si sa è mossa da anelito, ben noto ai tedeschi, romantici ante litteram, come a Volkswagen, che deve crederci e vendere in un nuovo linguaggio, un prodotto difficile, semisconosciuto e per la massa non del tutto convincente.

La formula è andare sempre oltre, sperando di fare come ha fatto Apple con il suo iPhone, come già fece Volkswagen con il suo Maggiolino negli anni Trenta, esempi epocali di vanità riusciti perché qualcuno ha rifatto prima l’acquirente, svuotandolo di coscienza, ma per l’Elektromobilität proprio quella è necessaria.

 

Nel 2020 l'auto uscirà dal posteggio da sola

Carsten KrebsCarsten Krebs.
foto di © Kai-Uwe Knoth
Il Center for Future Mobility di Volkswagen, dentro la Gläserne Manufaktur, è il cuore stesso del progetto di trasformazione radicale d’immagine cui la casa automobilistica si è data, dopo il Dieselgate. Abbiamo incontrato il responsabile di questa nuova strategia, Carsten Krebs, a capo  della comunicazione e affari pubblici dell’azienda.

Krebs ci ha illustrato con un certo orgoglio il Center for Future Mobility e il nuovo modello di utilitaria elettrica l’I.D. Volkswagen su cui punta l’azienda. Un nome che a detta di Krebs non significa nulla di preciso.

Può descrivermi, se non dal nome, la I.D.?

È la prima macchina compatta di Volkswagen costituita dal così detto MEB ovvero un sistema modulare di Box elettrificati a ricarica, con un design accattivante.

Dove sarà prodotta?

Non abbiamo ancora deciso. Qui a Dresda nella Gläserne Manufaktur stiamo producendo la sola e-Golf. Dunque a conti fatti sarebbe la sede ideale per produrla.

Basterà per soddisfare le aspettative?

C’è anche la sede di Zwickau, dove produciamo già trecentomila modelli l’anno tra Passat, Variant Golf. Entro il 2021 si scenderà alla metà esatta di questa produzione in nome di modelli elettrici delle stesse, ma anche di e-Golf. Abbiamo investito un miliardo di euro, per mettere a livello anche Zwickau.

In termini di quantità dei mezzi, di che cosa stiamo parlando?

Già ci sono in circolazione 2.000.000 di auto elettriche destinate dunque a aumentare fino a 11.000.000. Tutti i nostri modelli avranno una versione elettrica. Sedici fabbriche nel mondo dovranno essere in grado di produrre un modello elettrico, Lamborghini e Bugatti incluse. Per il momento sono solo due: Dresda e Zwickau.

Quali saranno le tempistiche per l’I.D.?

Abbiamo due appuntamenti importanti. Dal 2020 produrremo il primo modello, che dovrà invadere il mercato. Dal 2025 produrremo anche il modello con la guida totalmente automatica. Il guidatore non solo potrà riposarsi e far procedere l’auto da sola, ma grazie al cellulare potrà farsi venire a prendere, all’uscita da casa, da un posteggio, dal cinema… Imporremo un cambio drammatico tra il 2020 e il 2025, quando si vorranno produrre dal 20% al 25% di auto elettriche.

Quanto costerà l’I.D.?

Meno della e-Golf, dunque sotto i 35.000 euro. È inutile specificare che sarà costantemente connessa alla rete e avrà sistemi vocali di comando oltre a un’illuminazione interna cangiante su richiesta.

Puntare sulla strumentazione sofisticata, compenserà ai limiti dell’Elektromobilität?

È tutto un altro mondo quello delle automobili elettriche. Occorre ripensare al modo di spostamento. Il petrolio finirà e l’ambiente ha già patito lo scotto delle energie fossili. Anche la politica ha incominciato a imporsi, sia in ambito nazionale, che europeo.

Ci dà qualche specifica?

In Germania il governo chiede che le macchine elettriche siano l’8 per cento e la comunità europea ha imposto limiti imprescindibili entro il 2030, con una riduzione del 35 per cento di anidride carbonica. Non saremmo riusciti per quella data a modificare i normali motori, così abbiamo preferito l’aumento di produzione di auto elettriche, con diminuzione delle tradizionali, per raggiungere gli standard europei.

Chi è il maggiore acquirente della e-Golf?

La Norvegia è al primo posto, poi ci sono Austria e Svizzera. Dalla Cina invece inizia a aumentare la richiesta, anche lì le restrizioni, avendo essi stessi cambiato il passo in relazione alla emergenza ambientale, sono più serie. Prevediamo un incremento di 4.000.000 di auto per il loro mercato.

Vi manca il Phaeton?

Non direi. Il boom della Classe A si era ridotto drasticamente. Dalla Cina, che era il nostro principale acquirente, la richiesta diminuiva sempre più. Frattanto il dieselgate ha accelerato i tempi per una riconversione della nostra mission.

Non crede che l’intera società dei consumi sia poco preparata?

Dipende dai produttori di auto. Noi dobbiamo imporre, con i giusti tempi, ma senza indugio, il cambio di passo. Qui nel Center for Future Mobility stiamo lavorando in modo assiduo anche su questo. Tutto dipende dalla crescita dei servizi con l’Elektromobilität e se ci sono i servizi hai l’acquirente.

Come farete?

Con due progetti distinti. Il primo è quello d’ospitare nella Gläserne Manufaktur giovani startup, finanziandole con quindicimila euro per sei mesi di ricerca. Se hai un’idea che gioca a favore della nuova frontiera dell’elettrico, te la finanziamo. Se funziona bene, altrimenti è stato un tentativo.

Concept carPrototipo della Concept car, l'auto che grazie al cellulare ti potrà farsi venire a prendere, all’uscita da casa, da un posteggio, dal cinema 

 

 

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Salvatore Trapani

Salvatore Trapani vive a Berlino dal 1998. Ha corrisposto per le pagine di cinema e cultura del periodico romano Shalom-Mensile e del quotidiano nazionale Il Giornale. Si occupa di memoria storica e arti visive cooperando come referente alla formazione per il Memoriale agli Ebrei uccisi d’Europa a Berlino, per il Memoriale dell’ex campo di concentramento femminile di Ravensbrück  per l’Isituto Storico di Reggio Emilia, ISTORECO, dove ha fondato il progetto A.R.S. – Art Resistance Shoah. È anche autore di novelle (Edizioni Croce) e per saggistica (Editrice Viella).  Si chiama Denoument il suo sito tutto dedicato al Cinema.(https://www.denouement.it/).

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