Storia e storie di un desiderio inappagato

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La sensazione è di essere liberi, ma in effetti viviamo in un sistema nel quale la libertà e la sorveglianza si sovrappongono, il reale e il simulato scompaiono in un processo schizofrenico di perdita della realtà, nel quale diventa sempre più arduo distinguere il vero dal falso. C'è ancora spazio per il cambiamento?

Il nuovo volume del giornalista e saggista Vincenzo Maddaloni, Voglia di rivoluzione. Storia e storie di un desiderio inappagato (Nexus 2024), esplora il concetto di rivoluzione, attraverso una riflessione storica e sociologica.

Voglia42Maddaloni analizza come il desiderio di rivoluzione sia un sentimento che si sta intensificando, in particolar modo in Occidente, un sentimento da cui si percepisce “la paura, il malessere, il disagio, l’angoscia, la diffidenza, la sfiducia della gente”.

Contrapposto a questo desiderio, alla voglia di cambiare l’ordine delle cose, si presenta una realtà che spesso non corrisponde alle attese.

Infatti, uno degli aspetti, che risulta essere il fulcro del saggio, è proprio questo gap.

Nella prima parte del libro, vengono sollevati importanti interrogativi riguardo alle trasformazioni economiche, alla disgregazione delle classi sociali ed al declino di una solidarietà collettiva, tutti elementi che una volta avrebbero dato vita a movimenti rivoluzionari.

A sostegno di ciò, Maddaloni cita la pandemia e gli attuali conflitti geopolitici, come prova di diffusione della paura e di conseguenza anche di divisioni all’interno delle società, la quale viene posta di fronte a un bivio: “da che parte sta la verità?”.

Una realtà che viene alimentata dai media mainstream, con il risultato di una “continua invenzione di categorie di nemici a seconda delle circostanze”.

Emerge una chiara critica al neoliberalismo: la nuova lotta di classe rappresenta una “controrivoluzione neoliberalista dall’alto”, la quale opera lentamente, alimentando il disprezzo verso chi combatte dal basso.

La classe dovrebbe rappresentare un insieme coeso, dotato della capacità di agire in modo collettivo, perseguendo obiettivi comuni. Una visione che al giorno d’oggi appare ormai frantumata, in una realtà economica che favorisce sempre di più le élite.

Dei cortei e degli slogan che presero vita con Che Guevara ne è sopravvissuto solo il ricordo, ma le idealità hanno perso. La rabbia giovanile nel 2023 assume una connotazione diversa, basandosi sul pragmatismo e alimentata dalla confusione orchestrata con abilità dai media mainstream.

Citando le manifestazioni di piazza legate alla riforma pensionistica avvenute in Francia, nella prima metà del 2023, afferma che potrebbero essere paragonate a un continuum che affonda le radici nel movimento dei Gilet Jaunes e nel Maggio francese del 1968. 

Un malcontento, quello francese, che appare ciclico e radicato.

Ma anche questo caso, Maddaloni ci fa notare che, nonostante le recenti rivolte possano rappresentare la maggioranza della popolazione, la loro capacità di trasformarsi in una vera e propria rivoluzione è limitata dall’assenza di una forza politica coesa, che possa canalizzare il consenso popolare in un progetto alternativo al neoliberalismo.

Non può mancare, quindi, una critica alla situazione politica dell’Occidente, prendendo in causa soprattutto l’Italia.

Citando il filosofo Alain de Benoist, fondatore del movimento culturale Nouvelle Droite, l’autore dichiara come il pensiero di Gramsci, storicamente legato alla sinistra, venga ora strumentalizzato dalla destra populista, sostituendo il concetto della lotta di classe gramsciana con “l’appello al popolo”. 

Un movimento che, basandosi sia sul pensieri di  Gramsci che di Nietzsche, riprende solamente i concetti originari, decontestualizzandoli, che possono rivelarsi  funzionali alla tesi e alla linea delle forze politiche di destra, comportando il rischio di far diventare Gramsci l’idolo della destra populista.

Ma ad essere “bacchettata” è anche la sinistra, in particolare quella del governo italiano, una sinistra “dall’atlantismo incondizionato”. “Una sinistra che ormai ha perso la sua essenza, poiché non si accorge della sua contraddizione fondamentale di fronte all’elevata disoccupazione e costringe la classe lavoratrice alle rinunce”.

La critica alla sinistra è quindi anche una denuncia della sua incapacità di rinnovarsi, di adattarsi alla contemporaneità, soprattutto in un periodo segnato da una crisi economica globale e da nuove sfide geopolitiche, come le guerre e la pandemia.

La condizione dei giovani diventa il simbolo di un fallimento del sistema politico ed economico, che non riesce a garantire un futuro prospero per le nuove generazioni.

Come altro fattore preoccupante per gli squilibri sociali ed economici globali, non può mancare la menzione della crisi pandemica.

La pandemia ha evidenziato ed amplificato le disuguaglianze esistenti, in particolare quelle di natura economica, mostrando come l’efficienza venga spesso ritenuta più importante dell’equità. Inoltre, ha sottolineato come le vengano accettate come un prezzo da pagare, necessario per il continuo sviluppo economico delle nazioni più avanzate.

È proprio in riferimento alla crisi pandemica che l’autore riporta un paragone tra le rivolte studentesche del 1989 in piazza Tienanmen e le manifestazioni avvenute nel 2022 contro la politica dello zero-Covid in Cina, offrendo una riflessione sulla natura della protesta e della ragione per cui essa non è sfociata in rivoluzione.

Infatti, pur trattandosi in entrambi i casi di una piena espressione di malcontento verso il regime, si presentano delle circostanze diverse.

Nel 1989 emerge un desiderio di libertà politica e di democrazia in un contesto di crescente insoddisfazione nei confronti del Partito Comunista cinese e del proprio apparato burocratico.

Nel 2022, la rivolta contro le misure zero-Covid nasce da un’esasperazione popolare, dovuta alla gestione della pandemia. Una protesta che non ha avuto come obiettivo esplicito quello politico, ma  è comunque emersa contro un regime che limitava fortemente le libertà individuali.

L’uso del foglio bianco da parte dei manifestanti è diventato simbolo della censura e dell’impossibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni, contrariamente agli studenti del 1989 che avevano innalzato la statua della “Dea della Democrazia”.

Le differenze tra le due rivolte si estendono anche al piano politico e sociale: nel 1989 la Cina era attraversata da una spaccatura interna nel Partito Comunista, mentre nel 2022 il regime di Xi Jinping è molto più compatto e monolitico, con una netta centralizzazione del potere e una repressione ancora più severa.

La mancanza di un “sogno rivoluzionario” coerente è uno dei principali motivi per cui la rivolta contro lo zero-Covid non ha portato a una vera rivoluzione, come quella che invece si intravedeva nelle manifestazioni di Tienanmen.

Nel secondo capitolo, l’autore offre una critica sugli sviluppi geopolitici recenti, con un focus sulla guerra in Ucraina e sulle dinamiche di disinformazione che la accompagnano.

Ad essere presa in causa è la figura di Joe Biden, con un focus sulle relazioni internazionali, in particolare con Vladimir Putin, il quale non concepisce “un’Ucraina separata dalla Russia”.

Maddaloni afferma che ciò che sta avvenendo in Ucraina sia una “conferma che le bugie sono un’arma possente”.

Le cosiddette fake news e la disinformazione, che spingono ad accettare come verità indiscussa l’informazione ufficiale,  dimostrano che l’attacco del capitalismo globale non si limita a essere economico o politico, ma coinvolge anche la cultura e la storia.

È su queste evidenze che l’autore si collega allo spirito critico, soprattutto dei giovani, il quale andrebbe stimolato, piuttosto che lasciato cadere nel baratro della confusione, soprattutto in un’epoca in cui sono le élites del potere a gestire il monopolio della conoscenza, tramite nuove forme di manipolazione.

Un esempio di come vengano create “soggettività politiche per destabilizzare i paesi”[9] è la NED – National Endowment for Democracy, come dimostrato dalle cosiddette rivoluzioni colorate.

Con l’esperienza della guerra in Ucraina, la NATO ha compreso che la disinformazione e le neuro-armi hanno un valore strategico tale che diventeranno indispensabili negli arsenali militari.

Dunque, la conoscenza può essere facilmente trasformata in una forma di arma e le tecniche di guerra contro l’informazione libera sono strettamente legate all’uso delle neuro-armi.

Altra tematica affrontata dall’autore è la situazione critica che si presenta in Ucraina, focalizzandosi sulle implicazioni politiche e culturali delle minoranze russe nei Paesi baltici.

Uno dei punti cruciali di questa parte del saggio è la denuncia dell’uso della lingua, strumentalizzata come pretesto per scatenare conflitti, a partire dalla legislazione ucraina che limita l’uso del russo nella vita pubblica, limitandolo solamente alle comunicazioni private, portando così a un’omogeneizzazione etnica, culturale e politica, creando quindi una frattura che si riflette anche nella vita quotidiana.

Maddaloni è del pensiero che una soluzione di pace dovrà necessariamente tener conto che, a causa della guerra, le due realtà contrapposte si sono ormai consolidate, per cui una convivenza forzata risulta insostenibile. Vi è la necessità di definire confini chiari, rispettando la volontà delle popolazioni locali. L’autore limpidamente sostiene che senza prendere in considerazione questi aspetti, la guerra rischia di diventare un ciclo senza fine nella “terra di confine”[10], espressione che rappresenta il nome stesso dell’Ucraina.

Una critica che si estende anche alla politica internazionale, prendendo in causa l’estensione della NATO ed il suo coinvolgimento nell’Ucraina, scelta vista come una strategia geopolitica per minacciare la Russia e per favorire gli interessi economici degli Stati Uniti, in particolare nel settore della difesa e delle risorse energetiche.

L’autore offre una riflessione ampia sul passato e il presente dell’Estonia, un paese che si considera ancora vulnerabile alla Russia, ma che ha saputo rafforzare le proprie difese grazie all’ingresso nella NATO e all’Unione Europea.

L’immagine della bandiera ucraina esposta sui balconi del palazzo del Parlamento, accanto ai colori della bandiera estone, rappresenta simbolicamente una protesta contro l’invasione russa, ma anche un atto di solidarietà verso un paese che condivide una storia simile di oppressione e invasione.

Maddaloni raffigura un’Estonia anche tecnologicamente avanzata e proiettata verso l’Occidente, che si distingue non solo per le sue capacità di adattamento al cambiamento digitale, ma anche per l’evidente attitudine all’innovazione e alla libertà economica. Una resilienza che si contrappone con la sua storica vulnerabilità geopolitica.

Protagonista della parte centrale del saggio è l’alleanza tra Russia e Iran, caratterizzata da un intreccio geopolitico complesso. Un legame maturato nel corso degli anni e che, come comun denominatore, vi è il ripudio per talebani e Stati Uniti, considerati le principali minacce per la stabilità regionale.

Detto ciò, non c’è da stupirsi se subito dopo l’inizio dell’operazione russa nei confronti dell’Ucraina, l’Iran accusò la NATO di aver provocato il conflitto.

Una coalizione che non si è limitata alla cooperazione militare, ma che ha coinvolto anche l’aspetto del commercio internazionale e delle rotte mercantili, rafforzando il ruolo dell’Iran “come hub di transito e trasporto che collega la Cina e l’Asia centrale all’Europa, e la Russia all’India, lungo l’ International North–South Transport Corridor (INSTC)”.

L’alleanza tra Teheran e Mosca si gioca anche dal punto di vista religioso, con un duplice obiettivo: contrastare il radicalismo sunnita e superare le difficoltà imposte dalle sanzioni occidentali.

La posizione dell’Iran, che assume un ruolo chiave nella lotta contro il radicalismo sunnita in Asia centrale, lo rende un alleato e partner fondamentale per la Russia nella lotta all’Islam radicale.

Parlando di Iran, non si può non citare la protesta seguita all’uccisione di Masha Amini. Un movimento di disobbedienza civile contro il regime iraniano, affrontando il fenomeno degli zoomers, ovvero i giovani nati tra il 1997 e il 2012, che vivono in un mondo fortemente influenzato dalla tecnologia e dai social media, rappresentando così una frattura generazione tra i giovani e i leader degli ayatollah.

Gli zoomers sembrano essere molto meno legati alla religione e alla tradizione islamica e appaiono più orientati a sfidare l’autorità, cercando un cambiamento sociale, spesso attraverso l’uso delle piattaforme digitali.

Maddaloni evidenzia come la protesta degli zoomers non sia solo una questione di abbigliamento o di libertà individuale, ma anche di un rifiuto di un sistema che non risponde più alle esigenze di un popolo sempre più disilluso.

Un grido che sembra non essere ascoltato dagli ayatollah.

L’ultimo capitolo si apre con una riflessione dell’autore sull’involuzione politica, sociale e culturale dell’Italia[13].

La speranza di Maddaloni è quella che gli italiani possano tornare ad essere come gli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, quando erano i protagonisti di storie di solidarietà internazionale[14], dove uomini uniti da un ideale comune e dalla passione per il bene collettivo diedero vita a un movimento di sinistra che lottava con determinazione per migliorare le condizioni di vita delle persone.

L’autore si chiede dove si trovi oggi quella sinistra italiana, capace di ispirare una visione di vita, soprattutto in un contesto in cui dovremmo preoccuparci del futuro delle nuove generazioni, come i millenials ed i zoomers.

Se ad oggi il voto degli italiani ha portato la destra al governo, ciò potrebbe indicare che quest’ultima sia riuscita a influenzare il popolo efficacemente oppure che la sinistra si sia talmente allontana dalla sua storia, dai suoi principi da non riuscire più a connettersi con la gente comune. Coloro che votano per la destra finiscono per agire contro i propri interessi, come affermerebbe Karl Marx.

Vincenzo Maddaloni ci offre un’analisi profonda e appassionata del concetto di rivoluzione, esplorando non solo in maniera specifica gli eventi storici, ma facendo emergere quel desiderio collettivo che da sempre anima le masse verso un cambiamento radicale.

Con una scrittura vivace, l’autore ci guida attraverso sogni, delusioni e speranze che hanno caratterizzato le lotte rivoluzionarie nel corso del tempo.

Con un finale lontano dall’essere definitivo o disilluso, Maddaloni ci lascia con un’aperta riflessione sul ruolo che la voglia di cambiamento può ancora giocare nel presente.

Fonte: Vision & Global Trends


Giordana BonacciBonacci Giordana – Laurea triennale in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza presso l’Università degli Studi di Perugia. Attualmente laureanda magistrale in Investigazione, Criminalità e Sicurezza Internazionale, presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma.

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