Il sovrano d'Italia e di Germania che volle l'Italia unita e Roma vaticana glielo impedì

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È Federico II, di sangue tedesco e normanno nato a Jesi per caso che considerò per tutta la vita il Belpaese la sua vera patria. Ideò un modello di Italia unita che il papato gli distrusse perché la voleva divisa. Comincia da qui la seconda puntata di Alfredo Venturi sul rapporto turbolento tra Italia e Germania attraverso la storia.  

Federico BassanoUnde pater petimus, perversum corrige morem! Questo esametro fa parte di una supplica che gli studenti e i docenti dell'università di Bologna rivolgono a Federico I di Hohenstaufen detto il Barbarossa, l'imperatore sceso in Italia a rivendicare i suoi poteri contestati dai Comuni.

Siamo nel 1154, Federico ha convocato alla Dieta di Roncaglia i giuristi dello Studio bolognese, i glossatori che ripropongono nell'Europa medievale le norme del diritto romano.

Sarà in nome di quell'antica sapienza giuridica che l'impero eserciterà la sua funzione storica. Il perverso costume che l'imperatore è sollecitato a correggere riguarda la condizione di disagio in cui si trovano a Bologna gli studiosi venuti da fuori: privi di ogni tutela, tartassati da esosi padroni di casa.

Uomo aperto alle esigenze della cultura e del resto interessato a tenersi amici gli esperti del diritto chiamati a sostenere il suo potere, Barbarossa accoglie in pieno la richiesta degli “esuli per amore di conoscenza” e li pone sotto la tutela imperiale.
Poi la situazione precipita verso la guerra. Milano, che capeggia la rivolta, viene distrutta, i Comuni rialzano la testa e a Legnano riescono a mettere in fuga la temibile armata di Barbarossa.

     É incontro-scontro fra il mondo germanico, che si considera erede dell'impero romano al punto da individuarvi le fondamenta giuridiche dell'attuale sistema di potere, e il mondo italiano che da un lato vede nell'imperatore il pater per eccellenza, mentre dall'altro scalpita impaziente per sottrarsi all'abbraccio di un sovrano che si pretende assoluto.


Comincia a stagliarsi sull'orizzonte il contrasto fra guelfi e ghibellini: fautori i primi delle libertà comunali e appoggiati dal papato, sostenitori i secondi dei diritti imperiali, sia pure accompagnati da garanzie di sicurezza e misure di autonomia.
 
I due termini, destinati a segnare la storia dell'Italia medievale, provengono entrambi dalla Germania.

Da una parte i Welfen, casata sassone-bavarese di origine franca che contende il primato e il potere imperiale agli Staufer, o Hohenstaufen, la bellicosa dinastia sveva. Di qui il nome del partito guelfo.

Quanto ai ghibellini, il termine deriva da Waiblingen, una località nei pressi di Stoccarda dominata da un castello nel quale nacque Barbarossa. Waiblingen! era il grido di battaglia dell'esercito imperiale negli anni dei sovrani svevi.

Termoli castello di Federico IITermoli castello di Federico II

 

Welfen e Waiblinger, guelfi e ghibellini, una dicotomia italo-germanica.

     Dopo la cruenta stagione delle guerre comunali, la causa imperiale viene rilanciata in Italia da un matrimonio.

Barbarossa ordina che suo figlio Enrico prenda in moglie Costanza d'Altavilla, della stirpe normanna dei re di Sicilia.
 
Alla morte del padre di costei Guglielmo II (che precede di un anno la fine di Federico I, annegato in un fiume del Medio Oriente durante la terza crociata) Enrico rivendica per sé e Costanza il trono di Palermo.

 

 

Ma la nobiltà normanna, appoggiata dal papa ostile alla prospettiva di un imperatore che sia anche re di Sicilia, preferisce offrire il trono a Tancredi, che respinge un primo assalto svevo.

castel del monteCastel del MonteAlla morte del re normanno, quello che ormai è l'imperatore Enrico VI porta di nuovo le armi in Italia e può finalmente farsi incoronare re di Sicilia detronizzando il piccolo Guglielmo III e sua madre, la reggente Sibilla.
 
Siamo nel dicembre del 1194: proprio in quei giorni l'imperatrice Costanza, che si è messa in viaggio dalla Germania per raggiungere il marito, durante una sosta a Jesi dà alla luce un figlio destinato a uno straordinario futuro.
 
A quattro anni re di Sicilia, a venti sarà incoronato imperatore del Sacro romano impero come Federico II. Per alcuni decenni dominerà la storia d'Europa.

Sarà proprio lui, sovrano d'Italia e di Germania, a esaltare il movimento ghibellino, che arricchisce per gli italiani di una connotazione unitaria, contrastata dal papato che cercherà di impedire ogni concentrazione di potere nella penisola.

Uomo di profonda cultura, poliglotta, appassionato di filosofia e matematica, animatore della scuola poetica siciliana che anticipa lo stil novo, poeta lui stesso in volgare siciliano, fondatore dell'università napoletana che ancora porta il suo nome, costruttore di opere come Castel del Monte, innovatore dello stato siciliano, questo tedesco-normanno nato in Italia troverà il tempo di dedicarsi alla caccia col falco non soltanto come praticante ma anche come teorico.

Il suo De arte venandi cum avibus è un trattato dall'impianto singolarmente moderno.
Altrettanto moderna la sua impostazione politica, sia pure mai svincolata dall'accanita difesa delle prerogative imperiali. Per esempio intrattiene rapporti di amicizia con le comunità arabe e musulmane del Sud Italia, di cui parla la lingua, che gli forniscono un importante supporto militare. Non sorprende più di tanto il fatto che i suoi contemporanei lo chiamano stupor mundi.

     Eppure il declino dell'Italia sveva comincia quando Federico è ancora in vita. Momentaneamente rappacificato con il papa Gregorio IX, che pure lo aveva scomunicato, al culmine di un armistizio nella lotta contro i guelfi arriva a imprigionare il figlio Enrico VII re di Germania, che non intende piegarsi alle pretese papali. Alla morte di Federico II sfuma il grande sogno del regno italo-germanico. Gli succede un altro figlio, Corrado IV, costretto a trascurare gli affari italiani a causa delle turbolenze fra le rissose fazioni tedesche.

La fiaccola degli Staufer in Italia passa così a un figlio naturale di Federico, il principe Manfredi, che viene incoronato re di Sicilia dopo che per qualche tempo è stato reggente. Manfredi ha ereditato dal padre l'amore per la cultura e le doti politiche, ma lo attende un destino crudele. Il papato vuole contrastare una possibile riscossa ghibellina, per questo chiama in soccorso i francesi.


Divide et impera: non è forse così che funziona la gestione del potere?

vaticanIn epoca risorgimentale gli intellettuali neo-ghibellini riproporranno il modello dell'unità italiana quale gli svevi avevano tentato di realizzare, ma che il papato distrusse perché esigeva attorno a sé un'Italia divisa.   

   Carlo d'Angiò, fratello di re Luigi IX, sbarca in Italia con un corpo di spedizione, ben deciso ad approfittare dell'invito papale. Per le sorti dell'Italia ghibellina si avvicina la fine. Manfredi raduna un'armata di italiani, tedeschi e arabi, poi con un proclama cerca di convincere Roma a concedergli la corona imperiale: proprio a Roma, invece, Carlo viene incoronato re di Sicilia. L'uomo protetto dal papa s'incammina con il suo esercito verso il regno che gli è stato donato.
A Benevento, nel 1266, si scontra con le forze ghibelline. Abbandonato da una parte dei suoi, nonostante la tenace difesa dei fedelissimi Manfredi viene travolto e muore in battaglia.

Biondo era e bello e di gentile aspetto / ma l'un de' cigli un colpo avea diviso: così, pochi decenni più tardi, lo canterà Dante celebrando nella sua Commedia il valore del principe svevo e il tramonto dell'era ghibellina.


     Ormai i giochi sono fatti, a nulla servirà, se non a colorare la vicenda di una tonalità epica e drammatica, l'arrivo in Italia del sedicenne Corradino, figlio di Corrado IV e ultimo degli Staufer.

Lo scontro finale avviene a federico II ItaliaTagliacozzo.
Non può bastare il coraggio dei cavalieri svevi che fanno quadrato attorno a lui, Corradino viene sconfitto e fatto prigioniero. I francesi, che pure a Benevento hanno onorato le spoglie di Manfredi, sono spietati con il giovanissimo duca di Svevia, che viene portato a Napoli, condannato a morte e decapitato.
 
Le ragioni della politica prevalgono una volta ancora su quelle dell'umanità.
Carlo I, il nuovo re di Sicilia, non vuole lasciare in vita chi potrebbe un giorno richiamare a raccolta, sotto le bandiere giallo-nere degli Staufer, la morente fazione ghibellina.

     Dell'Italia sveva e della visione del mondo multinazionale impersonata da Federico II e Manfredi non resta che il ricordo, e questo ricordo sarà ripreso in epoca risorgimentale dagli intellettuali neo-ghibellini (come Giovanni Battista Niccolini o Francesco Domenico Guerrazzi), ai quali si contrapporrà specularmente un partito neo-guelfo d'impronta cattolica.

I neo-ghibellini animeranno una corrente di pensiero accesamente anticlericale che riproporrà il modello dell'unità italiana quale gli svevi avevano tentato di realizzare, ma che Roma vaticana aveva voluto distruggere, perché il papato temporalista esigeva attorno a sé un'Italia divisa.

2 - continua

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Alfredo Venturi
É nato a Bologna, vive in Toscana. Laurea in Scienze politiche. Giornalista (il Resto del Carlino, La Stampa, Corriere della Sera) attivo in Italia e all'estero. Ha trascorso in Germania il decennio che comprende la riunificazione. Editorialista del settimanale Azione di Lugano. É autore di numerosi saggi di ricerca e divulgazione storica.
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