Il bello e il buono dell'Italia raminga

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La storia, a volte, somiglia a uno specchio: attraverso gli immigrati di oggi ci rimanda l’immagine dell'Italia di cento anni fa. Una “badante” che lascia i suoi figli e viene in Italia non ripercorre lo stesso cammino delle nostre balie e non soffre nello stesso modo per la lontananza?
Nell’arco di un secolo – tra il 1876, quando si inizia a contabilizzare l'emigrazione italiana verso l’estero, e il 1976, anno in cui il saldo migratorio nazionale si assesta intorno allo zero -  sono espatriati  26 milioni di italiani.  Un totale che segna la fine dell  “emigrazione italiana di tipo tradizionale, come esodo di massa e sfollamento della manodopera eccedente”
Solo un terzo (ma si tratta di una stima inevitabilmente approssimativa) di questa immensa ondata umana ha fatto stabilmente ritorno, a distanza di qualche mese o di decenni, in patria.
I loro discendenti, chiamati "oriundi italiani", possono essere in possesso, oltre che della cittadinanza del Paese di nascita, anche della cittadinanza italiana dopo averne fatto richiesta, ma sono pochi i richiedenti che risiedono fuori Italia. Gli oriundi italiani ammontano nel mondo a un numero compreso tra i 60 e gli 80 milioni.
 
Una quota consistente di questo flusso – che in alcuni anni ha toccato picchi impressionanti (il maggiore si registra nel 1913 con 872.598 espatri, equivalenti a un tasso migratorio del 2,4% annuo sull’insieme della popolazione nazionale) – si è indirizzata verso Stati bisognosi non solo di forza lavoro straniera (come nel caso della Svizzera e della Repubblica federale tedesca), ma anche di incrementi sostanziosi della popolazione stabile.
Per soddisfare questo bisogno di popolamento, i principali Stati extra-europei di immigrazione italiana (e in Europa, in forme più moderate, la Francia ) hanno sviluppato politiche finalizzate a un inserimento rapido e completo delle collettività immigrate – tra cui, appunto, quella italiana – nella comunità nazionale.
In questo quadro, il diritto della cittadinanza ha operato, in alcuni tra i più importanti paesi di immigrazione, come un fondamentale strumento di inclusione, sia attraverso un’applicazione senza remore dello jus soli, sia attraverso un uso disinvolto, e talvolta spregiudicato, della naturalizzazione.
 
La classe politica dell’Italia unita ha mantenuto, con relativa continuità, un atteggiamento complessivamente favorevole, perlopiù, passivo, di fronte all’emigrazione, percepita come fattore di crescita economica e di allentamento della tensione sociale. Ma, nonostante il generale favore per l’emigrazione, le classi dirigenti italiane, sia in periodo monarchico sia in età repubblicana, hanno generalmente contrapposto alle politiche della cittadinanza intensamente “inclusive” di alcuni Stati di immigrazione, una concezione “forte” della cittadinanza italiana, come vincolo capace di resistere in situazione di emigrazione, anche lungo l’arco di più generazioni. Si è così venuta determinando, specialmente nei rapporti con i grandi bacini migratori americani (Argentina, Brasile, Stati Uniti), una permanente situazione di tensione potenziale, alimentata dalla continua moltiplicazione dei conflitti positivi di cittadinanza, per effetto di una fondamentale divergenza di impostazione tra i sistemi giuridici coinvolti.
 
In realtà, come è stato osservato recentemente, “più che di esaurimento tout court del ruolo di paese d’emigrazione, sembrerebbe più corretto parlare di trasformazione delle funzioni, delle caratteristiche e delle dimensioni della nostra emigrazione e di un suo progressivo adeguamento alle modificazioni strutturali che, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, hanno radicalmente trasformato la società italiana”. 
 
Un’eccezione di grande rilievo è tuttavia rappresentata dalla politica migratoria restrittiva adottata, a partire dalla seconda metà degli anni venti, dal regime fascista. Questa svolta, espressione di una più generale svolta politica di impronta autarchica ed imperialistica, è bene espressa nel passo seguente, tratto da una circolare, firmata Mussolini, indirizzata il 3 giugno 1927 dalla Direzione Generale Italiani all’Estero ai prefetti delle città italiane:
“...non basta difendere la salute della razza, incoraggiare l’aumento delle nascite, diminuire le morti, se si permette che attraverso l’esodo degli elementi più forti e più produttivi venga indebolita quantitativamente e qualitativamente la compagine della Nazione. [...] Per ogni emigrante che esce per sempre dall’Italia, in compenso di poco oro che giunge dall’estero, il Paese perde: economicamente, tutto ciò che ha speso per nutrirlo, educarlo, per metterlo in grado di produrre; militarmente, un soldato; demograficamente, un elemento giovane e forte, che feconderà terre straniere e darà figli a Paesi stranieri. Richiamo i prefetti del Regno ad una rigida sorveglianza su tutti gli organismi esistenti nelle loro giurisdizioni, aventi comunque attinenza con l’emigrazione. E pertanto le Regie Questure dovranno esercitare la massima severità e parsimonia nel rilascio di passaporti per emigranti”. 
 
La politica emigratoria italiana si venne definendo come oggetto di comportamenti politici trasformistici, inclini a privilegiare la via amministrativa a quella legislativa e tutto sommato ad assumere posizioni attendiste. Rispetto a un fenomeno largamente spontaneo e in ogni caso ‘autonomo’ nei confronti dei pubblici poteri, si restò il più delle volte alla finestra”.
Il “disimpegno [dello Stato italiano] di fronte all’integrazione degli emigrati ha finito per scongiurare il rientro degli emigrati e per favorire, o almeno lasciare che avvenisse, la loro integrazione nei Paesi di accoglimento”.

 

 Tre i periodi durante i quali l'Italia ha vissuto il fenomeno emigratorio d'espatrio.

 Grande Emigrazione

emigrazione bloccoIl primo periodo, conosciuto come Grande Emigrazione, ha avuto inizio nel 1861 dopo l'Unità d'Italia ed è terminato negli anni venti del XX secolo con l'ascesa del fascismo.
Gli ultimi anni dell’800, poi furono anni difficili per l’Italia e furono gli anni che segnarono l’inizio del grande esodo di massa, la “grande emigrazione” verso le vie del mondo in cerca di una vita migliore, emigrazione che segnò duramente e massicciamente, molte zone dell'Italia, soprattutto del centro e sud.
 
 
 

 Con l'ascesa del Fascismo al potere, le cose cambiarono: venne perfino abolito il termine 'migrante' per sostituirlo con 'lavoratore italiano all'estero' e l'emigrazione venne sfruttata sia a fini propagandistici, sia per promuovere la politica estera del Paese. Nel 1927, proprio in quest'ottica, con il decreto legge del 26 aprile, venne abolito il Commissariato per l'Emigrazione, che venne di fatto retrocessa a Direzione generale del Ministero degli Affari Esteri.

 

 Merica Merica

  

Migrazione Europea 

 Il secondo periodo di forte emigrazione all'estero, conosciuto come Migrazione Europea, è avvenuto tra la fine della seconda guerra mondiale (1945) e gli anni settanta del XX secolo. 

Nel secondo dopoguerra gli italiani hanno ripreso a partire, con l’aiuto di accordi interstatali - braccia e intelligenze in cambio di materie prime - verso i paesi dell’Europa e verso l’Argentina e l’Australia
Pagano ancora un pesante pedaggio: a Marcinelle, in Belgio, nell’agosto del 1956, ad esempio, una tragedia in miniera fa 237 vittime, 139 delle quali italiani.
Il flusso si arresta negli anni Settanta. Il Ministero degli esteri ha calcolato che, nel 1994, il numero degli oriundi italiani nel mondo assommava a più di 58 milioni: un’altra Italia fuori d’Italia.
 

 

Nuova Emigrazione

La terza ondata emigratoria, è cominciata all'inizio del XXI, conosciuta come Nuova Emigrazione, è causata dalle difficoltà che hanno avuto origine nella grande recessione, crisi economica mondiale iniziata nel 2007. Ha una consistenza numerica inferiore rispetto ai due precedenti, interessa principalmente i giovani, spesso laureati, tant'è che viene definito come una "fuga di cervelli". Secondo l'anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), il numero di cittadini italiani che risiedono fuori dall'Italia è passato dai 3.106.251 del 2006 ai 4.973.942 del 2017, con un incremento pari al 60,1%.

 

 

 

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Mai riuscito a rispondere compiutamente alle uniche importanti domande della vita: “quanto costa?”, “quanto ci guadagno?”. Quindi “so e non so perché lo faccio …” ma lo devo fare perché sono curioso. Assecondami.

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