Germania, l’ossessione del contagio
Da qualche anno a questa parte o forse più, ogni fine settimana in qualche paese o città della Germania compaiono i neonazisti che marciano con i loro tatuagi, con i loro scarponi chiodati, con i loro irritanti striscioni, con le loro bandiere. Ancora sopravvive il ricordo dei semila partecipanti al Neonazi-Festival “Rock für Identität” di due mesi fa a Themar, una cittadina della Turingia.
L’Afd dovrebbe incassare – così i sondaggi – il dieci per cento dei voti e forse più. E’ un risultato epocale perchè il populismo dirompente nella Germania del welfare è un fenomeno su cui si appuntano gli occhi dell’Europa intera. La Germania del benessere – dal 2013 anno di nascita dell’AfD – è diventata una sorta di laboratorio per studiare il fossato che si allarga a dismisura in ogni parte d’Europa, tra la gente comune e la piccola e media borghesia da un lato e dall’altro lato l’immigrazione, favorita dai circoli affaristici ed economici in nome della libera circolazione delle persone e dei capitali.
Sebbene, dagli inizi del secolo fino ad oggi la povertà in Europa si è via via urbanizzata, si è “ringiovanita” perchè i giovani sono più poveri delle generazioni precedenti, in Germania non ha mai raggiunto i picchi di disperazione dell’Italia, della Spagna, della Francia per non parlare della Grecia. Nel paese della Cancelliera il tasso di disoccupazione in agosto girava intorno al cinque per cento, e sempre un mese fa il numero di disoccupati è diminuito di 5 mila unità. Eppure, benché la situazione sia di gran lunga migliore rispetto all’Italia, alla Spagna, alla Francia, il populismo tedesco è un fenomeno in crescendo, non episodico e nemmeno elettorale.
Nell’ex Germania comunista, l’AfD pesca molto tra coloro che oggi hanno più di cinquant’anni e ricordano la Ddr con nostalgia, non certo per il sistema oligarchico che vi governava, ma perché vi era l’illusione che le aspirazioni del popolo fossero in cima alle priorità. Beninteso, questa nostalgia diffusa è storia recente che rischia di diventare contagiosa da quando la parola “gente” – qui come altrove in Europa – ha preso il posto della parola popolo. Lo scambio è avvenuto sull’onda della crisi economica che ha mostrato i limiti della politica di fronte allo strapotere dell’economia.
Infatti, dapprima la sensazione è che la società che consuma appaia più “libera” e venga percepita come la più “democratica” e la più “prospera”. Poi, quando se ne diventa parte, ci si accorge che benché sia il trionfo dell’individualismo moderno di matrice liberale e progressista, essa finisca con l’ opprimere i popoli, ovvero i loro intrinseci bisogni di socialità, solidarietà, stabilità, comunità e dunque di autentica libertà. In Germania questo “bisogni” sono avvertiti nell’ex Ddr più che in Baviera, e l’avanzata dell’AfD è un chiaro segnale che la voglia di cambiamento non soltanto esiste, ma si sta estendendo.
Il progressismo vincente nella patria della Cancelliera fa notizia, come usa dire. Perché la Germania è in Europa un fulgido esempio di quella”governance” – molto di moda nell’ultimo decennio – che obbliga i governi ad attuare scelte tecniche in linea con le esigenze del mercato e della finanza. La “governance” è infatti il trionfo degli interessi dei pochi privilegiati che governano i destini del mondo, ogniqualvolta riesce a plasmare la società sul modello del mercato. Il quale non va affatto d’accordo con la democrazia, ma tende a subordinarla alle sue regole esigendo, di volta in volta la soppressione delle frontiere, la liberalizzazione dell’economia, degli stili di vita, della precarizzazione dei rapporti umani e affettivi, dello sradicamento identitario e via dicendo. Insomma, i mercati asservendo i governi ai propri interessi gestiscono di fatto il potere con una determinazione tale, come mai era accaduto da sessant’anni a questa parte.
Il merito della Cancelliera è di aver saputo gestire questa realtà senza arrecare traumi eccessivi, anzi migliorando il welfare del suo popolo, il quale gliene è molto grato, come confermano i sondaggi della vigilia elettorale. Tutto questo è stato possibile alla Cancelliera perché nel suo team ci sono personaggi come il ministro delle finanze Schaeuble che continua a spremere i paesi più poveri dell’Europa meridionale; o come il ministro della difesa Ursula von der Leyen che sollecita altri miliardi per la difesa, manda i soldati nel deserto del Mali, sulle montagne dell’Afghanistan e rafforza la Bundeswher sul confine russo. E come il ministro dei trasporti Alexander Dobrindt che sorvola di molto sugli inquianamenti prodotti dell’industria automobilistica tedesca. Sono questi alcuni esempi tra i tanti su come in Germania si può migliorare il welfare senza fare tanto chiasso. Dopotutto questo è il paese dove la politica non si sorregge sulla rissa, non ricorre alle sbracamento totale per raccogliere i consensi. Sono comportamenti che non rientrano nella cultura dei tedeschi, per i quali – per capirci – gli strilli della Lorenzin, gli insulti di Di Maio sono puro folklore.
E tuttavia, nel Paese esiste questo malessere diffuso che l’Alternative für Deutschland con il suo pacchetto di voti ben rappresenta. I neoanazisti sono diventati minoranza perchè oramai, «il tipico elettore AfD è di età media, con un’istruzione media, e un reddito medio», come informa Der Spiegel. E dunque, nel movimento i neonazisti debbono lasciar spazio alle genti della middle class alle quali sta particolarmente a cuore il destino della Germania-Nazione punto di riferimento per tutti i paesi d’ Europa. Insomma, il media mainstream ha già approntato il ritratto: a Berlino l’ AfD sarà il tarlo del Bundestag. Quanto basta per riaprire un discorso serio sull’equità sociale, prima che se ne stravolgano il valore e il significato. Le ultime cronache tedesche ne evidenziano l’urgenza, per Francia, Spagna e Italia soprattutto.
21 settembre 2017