Il turista che parte per Berlino giunto innanzi a un frammento del Muro dovrebbe soltanto meditare sulla storia trasudata da ogni singola particella di cemento?
E chi visita l’East Side Gallery, la lunga serie di murales che decorano il tratto di Muro più lungo rimasto in piedi, dovrebbe sbatterci contro la testa per tutta la durata della permanenza in Germania?
Sarebbe disdicevole scattarsi un selfie a Mauerpark?
Quest’atto sarebbe un’offesa alla memoria del posto e il viaggio perderebbe dignità?
La capitale tedesca spalanca gli occhi e sgrassa il cervello del visitatore, apre gli orizzonti perché è una metropoli culturalmente vivace e stimolante, è colta e divertente al contempo, e tutta la città è arte urbanizzata e facilmente fruibile anche ai non cultori. Berlino è multidimensionale e permette ai suoi visitatori di ritagliare un proprio spazio in ragione dei propri interessi. Ma con che spirito si va a Berlino?
La Germania sa ricordare e Berlino, che ha mantenuto ben esposte le ferite causate dai propri orrori, documenta di avere un Memoria di ferro.
La Memoria, patrimonio globale, è una gran qualità che non è altrettanto largamente diffusa oltre i confini tedeschi. Nella storia di molti Paesi sono presenti tracce di quell’inumanità causa di eccidi e annientamento di diritti e libertà, ma a Berlino la Memoria è meglio custodita e generosamente comunicata.
E non è una mera memoria didattica, bensì Cultura della Memoria che è “aerea”, perché fa parte dell’ossigeno che a Berlino si respira sulle facciate delle case, sui marciapiedi e i sui lampioni della luce, in metropolitana e sui visi dei berlinesi.
Berlino è pregna di Cultura della Memoria e la città ne ha fatto un business.
© courtesy of Graziano Arici
Il turista visita Berlino per imparare o per approfondire quella Storia letta sui libri scolatici o vista in tv e lo stesso turista sceglie Berlino pure per divertirsi.
Forse qualcuno storcerà il naso di fronte al turista che si scatta un selfie con alle spalle un pezzo del Muro.
Ipotizzando l’esistenza degli smartphone tra il 1961 e il 1989, quest’atto (il selfie) sarebbe stato possibile?
No. È un piccolo gesto, magari un po’ superficiale, di meccanismi automatici della nostra quotidianità, tuttavia un selfie non è altro che uno sprazzo di quella libertà così tanto data per scontenta e, all’opposto, così tanto duramente conquistata dai nostri nonni.
Il turista che si mette in viaggio porta con sé un bagaglio pieno di vestiti e, ulteriormente, alla meta favorita consegna se stesso come fosse un bagaglio vuoto da riempire.
A Berlino i divertimenti di certo non mancano, ma in nessun’altra città del mondo è possibile trovare concentrata così tanta Memoria. Nei piani di viaggio il turista mette in conto che conserverà e invierà (in tempo reale) un numero indefinito di selfie, i cui i protagonisti sono il luogo, l’autore dello scatto e il ricordo dei sentimenti vissuti.
Il turista riempie il “se stesso-bagaglio vuoto” di un ampio spettro d’emozioni.
Ad esempio il Memoriale del Muro riesce a rendere (didatticamente) ancora l’angoscia di quel periodo.
Come per le vittime della Shoah, si è voluto ricordare i martiri del Muro. Bernauer Straße è stato scenario di orrori, i cui protagonisti erano berlinesi che si trovavano dalla “parte sbagliata” del Muro. Sulla “linea della morte” persistono un lungo tratto di Muro e una torretta di guardia (davvero angoscianti).
Qui un selfie è opportuno eppure non sufficiente per vivere appieno l’emozione. A colmare la lacuna esiste un efficiente centro di documentazione che racconta, tramite un’esposizione con punti audio e documenti storici, il grigiore tenebroso di quegli anni.
© courtesy of Graziano Arici
Oltre che una precisa predisposizione d’animo a Berlino è necessaria una forte dose di leggerezza per affrontare alcuni dei luoghi della Memoria.
Solamente con questo approccio, appunto leggero e un po’ spassionato, e possibile camminare sulle rovine del quartiere generale della Gestapo.
In questo luogo si sviluppa la Topografia del Terrore, in altre parole il progetto che racconta il nazismo.
Nel luogo in questione risiedevano i centri nevralgici del regime hitleriano: la Polizia Segreta di Stato, il carcere, l’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich, oltre al Comando Generale delle SS e al Servizio di Sicurezza del Comando Generale.
Nei paraggi, non distante dal Checkpoint Charlie (il punto di passaggio tra est e ovest) è stato lasciato in piedi un importante pezzo di Muro. Un colpo d’occhio che fa riflettere e venir voglia di scattare un selfie.
Ma l’opera urbana dentro la quale mentalmente ci si immerge e, per di più, letteralmente ci si disperde è il Monumento agli ebrei europei© courtesy of Graziano Arici assassinati (cosiddetto Memoriale dell’Olocausto), ossia la sterminata distesa di stele, in calcestruzzo grigio scuro, disposte su un terreno ondulato e a forma di griglia ortogonale.
Volete che un selfie non scappi! Tra le 2711 stele ci si perde, la bussola personale si disorienta, e si gironzola assorti in pensieri ed emozioni che sembrano partire dalle viscere piuttosto che dalla testa.
I visitatori, in questo labirinto, passeggiando si commuovono e c’è chi sta seduto a terra, tra una stele e l’altra, con le spalle poggiate a uno dei monoliti, col capo chino e magari assorto nella lettura di un libro o di un palmare.
Fruendo l’opera è però possibile avvistare ragazzini rincorrersi e giocare a nascondino (o rimpiattino che dir si voglia), le cui risate gioiose
non rompono ma addolciscono il rigore del silenzio monumentale; un “bambini state zitti, non correte perché questo è un luogo importante in cui si deve solo riflettere in silenzio” rappresenterebbe un rimprovero inopportuno.
Vedere giocare dei bambini a rincorrersi e nascondersi tra le stele credo sia un’immagine di vittoria della libertà che completa il significato della maestosa opera.
Berlino dà l’opportunità di leggere la Storia senza l’ausilio di un libro (che resta lo strumento del sapere).
È la città che si legge strada facendo e, così procedendo, il ricordo di un viaggio diviene Memoria che si alimenta e si autosostiene. In tutto questo processo, il viaggiatore o turista per nulla sprovveduto, al calamaio e alla pergamena preferisce un più immediato e pratico scatto con lo smartphone per immortalare un’immagine memorabile a colori che, nel tempo, rischierebbe di trasformarsi in cartolina in bianco e nero sbiadita.
A chi sbuffa inorridito davanti al turista in pantaloncini corti, sandali e calzini bianchi di spugna a corredo, che si scatta un selfie a Bebelplatz, consiglierei di non storcere troppo il naso, perché c’è di peggio come bruciare un libro o 25000 libri. Bebelplatz è lo spazio in cui il 10 maggio 1933 accadde il rogo in cui i nazisti si dedicarono alla biblioclastia, dando alle fiamme libri ritenuti pericolosi.
L’evento è ricordato con l’opera di Micha Ullman: un pannello luminoso piantato sulla superficie della strada che lascia intravedere una camera piena di scaffali vuoti. Accanto è posta una targa che riporta una citazione di Heinrich Heine (poeta tedesco tra il romanticismo e il realismo):
«Quando i libri vengono bruciati, alla fine verranno bruciate anche le persone». E anche in questo luogo un selfie è irrinunciabile, per meglio ricordare o per allenare la mente a non dimenticare.
Luca Manduca, 44 anni, maestro d'arte, giurista e mediatore civile; autore del romanzo "Il sentiero circolare" (ed. Zerounoundici).
Foto di Graziano Arici photographer "Io sono nato a Venezia, tutti i miei avi sono a Venezia da quattrocento anni; quindi capisci bene che io quella città ce l’ho proprio nel sangue, come dire? Io sento le singole pietre di Venezia.".
L’opera urbana dentro la quale mentalmente ci si immerge e, per di più, letteralmente ci si disperde è il Monumento agli ebrei europei assassinati (cosiddetto Memoriale dell’Olocausto), ossia la sterminata distesa di stele, in calcestruzzo grigio scuro, disposte su un terreno ondulato e a forma di griglia ortogonale.© courtesy of Graziano Arici